I sensi resterebbero impotenti a metterci in movimento se un desiderio non li legasse al loro oggetto. La Bibbia presenta l’uomo come un essere di desiderio, assetato di felicità, assetato di Dio. Il desiderio è il motore che permette all’uomo, nel corpo e con il suo corpo, di innalzarsi a Dio, che è l’“oggetto” ultimo della nostra concupiscenza: “Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore non ha riposo finché non riposa in te”, canta Agostino. Massimo il Confessore non esita a dire che il desiderio dell’uomo troverà pace solo nel godimento di Dio, nell’esperienza sensibile di lui. Tale affermazione − che si radica nell’insegnamento della Bibbia − evidenzia l’unità fondamentale della persona chiamata, nella sua anima e nel suo corpo risorto, a godere di Dio. Dunque anche i sensi dell’essere umano non sono fatti per le mezze misure: così come il suo desiderio e la sua capacità di godimento, essi sono proporzionati a Dio. È appunto a livello di vocazione, questa nobilissima vocazione dei sensi corporei nel disegno di Dio, che si definisce il dramma del loro uso improprio. Se gli esseri umani si chiudono nel proprio godimento, scambiano i mezzi per il fine e si può allora dire con Paolo che “il ventre è il loro Dio” (Fil 3,19). È in questa capacità illimitata di bene o di male che risiede il bel rischio dell’uso dei sensi. Per questo è sempre necessario operare un discernimento. Bisogna distinguere due livelli: quello del corpo e della sensibilità da una parte, che aprono l’uomo all’incontro con l’altro e lo portano a compiere la sua vocazione, e quello della “carne” e della sensualità dall’altra, che possono rinchiuderlo nel godimento immediato e incentrato su di sé. Per non aver saputo discernere a sufficienza questi due livelli, talora si è confuso in modo grottesco − sia nella chiesa che fuori − ciò che aveva a che fare con il corpo con ciò che aveva a che fare con il peccato. È pur vero che il vocabolario del Nuovo Testamento stesso può apparire confuso. Quando si parla di “carne”, si parla della carne di Cristo (“Il Verbo si fece carne”: Gv 1,14), cioè di questa umanità nella sua condizione fragile di creatura, umanità che in Cristo diventa strumento di salvezza; o della “carne di peccato”, realtà astratta distinta dal corpo, nella quale si manifesta il peccato dell’uomo? È necessario conoscere questo retroterra biblico per interpretare correttamente i testi dei padri della chiesa e comprendere a quale “carne” si riferiscono. Per aver ignorato tale distinzione si è arrivati a sostenere che il cristianesimo propugna un “odio del corpo”, cosa che è un controsenso assoluto. L’accoglienza del sensibile nella vita spirituale è sempre stata oggetto di un animato dibattito all’interno della chiesa. È pertinente contrapporre fortemente i sensi spirituali ai sensi corporali? Non si potrebbe far emergere una continuità nel loro esercizio? Certo, qualcosa nei nostri sensi corporali qui sulla terra è legato alla figura di “questo mondo che passa” (cf. 1Cor 7,31), ma questo non ci impedisce di concepire un esercizio spirituale dei nostri sensi corporali, nella misura in cui Dio, che si è incarnato, da quel momento e per sempre si consegna in modo tale da essere percepito in maniera sensibile. Personalmente rimango nella convinzione che ogni mistica − anche le mistiche non cristiane, che tutte tendono verso l’unico mistero − è anticipazione della resurrezione finale dei corpi, la cui bellezza si offre già per un’esperienza di tutto l’uomo nel contatto con il corpo del Cristo risorto. Ed è proprio attraverso questo contatto, questo “corpo a corpo”, che l’uomo viene divinizzato. Questo presuppone una “trasfigurazione” dei nostri sensi corporali mediante la fede e il dono dello Spirito santo. Essi possono allora aprirsi alle realtà divine e vedere nel Cristo qualcosa di più di un semplice uomo; ma anche nella Scrittura santa qualcosa di più di semplici parole umane e nella creazione qualcosa di più di un dato materiale “in-significante”. Vedere più lontano, dunque, ma non vedere altro: è proprio vedendo Gesù di Nazaret che vediamo Dio, ascoltando le parole umane della Bibbia che ascoltiamo Dio.
Philippe Markiewicz, Ferrante Ferranti, Pietre vive