Silenzio: comunicare altrimenti

Leggi tutto: Silenzio: comunicare altrimenti

Il silenzio non è assenza di comunicazione, ma un altro modo di dire, di comunicare, e per questo rimane in una irrinunciabile correlazione con la parola. Il silenzio non è l’opposto della parola, ma è il contesto in cui la parola si iscrive, ciò che la contiene, appunto. È, per utilizzare un’immagine, il foglio bianco su cui la parola si staglia e che dà spessore al colore della parola. C’è tra la parola e il silenzio un doppio rapporto che li vivifica entrambi: si passa continuamente dal silenzio alla parola e dalla parola al silenzio. Essi si custodiscono a vicenda: il silenzio precede e segue la parola; esso è sempre “al di là della parola o in attesa della parola, ma comunque in relazione dialettica con la parola stessa”.

Innanzitutto il silenzio è ciò che genera la vera parola, è come il primo atto della comunicazione. Il silenzio, poi, custodisce e dà spessore alla parola. È un’occasione di interiorizzazione, insegna ad amare la parola detta o che vorremmo dire, “insegna ad amare la parola pensata”. Infine, il silenzio ricorda che la parola umana resta comunque limitata: non tutto può essere detto, e a volte non si può che tacere.

Il rapporto è però reciproco: se la parola ha bisogno del silenzio, anche quest’ultimo ha bisogno della parola. La fecondità del silenzio, la sua efficacia, è nella sua capacità di fare spazio alla parola che lui stesso poi deve portare e spiegare. Se il silenzio non si fa attenzione, tensione verso la parola, accoglienza, rischia di trasformarsi presto in luogo sterile. Tra il silenzio e la parola si deve instaurare una sorta di antagonismo, in cui nessuno dei due deve prevalere sull’altro e, istante dopo istante, sarà necessario chiedersi a chi dei due tocca, in quel frangente, avere la meglio, secondo quella regola aurea che Gregorio di Nazianzo ci offre laddove dice: “Parla solo se hai da dire qualcosa che valga più del silenzio”. E un detto della tradizione sufi sembra fargli eco: “Se la parola che stai per pronunciare non è più bella del silenzio, non dirla”.

Il prodigio del silenzio è giungere a parlare tacendo, a essere espressivi senza usare le parole, ad avere una vita silenziosamente eloquente … Il silenzio è un modo diverso di comunicare e, più in profondità, un modo diverso di essere... e di vivere. I padri del deserto l’avevano ben compreso quando consideravano il silenzio una forma di estraneamento. Il silenzio è quel linguaggio per cui, in un incontro, uno sguardo potrà bastare a dire ciò che le parole non possono più dire. È l’esperienza degli innamorati o degli amici.

Il silenzio affina lo sguardo e rende eloquenti i volti. Questi si fanno un invito costante rivolto all’altro perché venga a noi e dimori presso di noi; esprimono desiderio e attesa dell’incontro.

Il silenzio è in definitiva uno scambio di presenze, anziché di parole. Nulla più di uno sguardo o di un gesto silenzioso a volte sa narrare l’amore per una persona. Ricordiamo anche l’episodio dell’unzione di Betania (cf. Mc 14,3-9), dove una donna, senza proferire parola, si avvicina a Gesù e gli unge il capo di olio profumato. I discepoli parlano e protestano contro di lei, e anche Gesù parla per difenderla; la donna, invece, non dice una parola, neppure per difendersi dalle accuse: il suo gesto è più che eloquente, e non è possibile dire di più, neppure per spiegarsi di fronte a chi non l’abbia compreso... Essendo un linguaggio discreto, infatti, il silenzio a volte ingenera il timore che esso non venga compreso, che sia inefficace. Ma si tratta di una paura infondata, poiché ciò che è vero, anche se discreto, prima o poi è compreso. Se il linguaggio che usiamo ha in sé vita, anche se silenziosa, questa a suo tempo si rivelerà.

Il silenzio autentico è in definitiva un altro linguaggio; non è vuoto, incapacità di parlare o rifiuto; tutt’altro! Esso è abitato da una parola viva e vivace, che attende di essere detta, ma in altro modo; per questo, il silenzio vero è pregno di attenzione, di tensione e di accoglienza.

Sabino Chialà, Silenzi. Ombre e luci del tacere

Mi hai creato: non lasciare che vada perduto!

Due cose riconosco in me, Signore:Leggi tutto: Mi hai creato: non lasciare che vada perduto!
la natura, che tu hai creato,
il peccato che io vi ho aggiunto.
Riconosco che con la colpa ho deformato la natura,
ma ricordati che sono un soffio che va
e non ritorna (Sal  78,39).

Da me stesso, infatti, non posso retrocedere dal peccato.
Orsù, togli da me quello che ho fatto io,
rimanga in me quello che hai fatto tu,
così che non perisca
quello che hai redento con il tuo sangue,
e non perda la mia malizia
quello che ha redento la tua bontà.

Signore, Dio mio, se ho operato così da essere un reo per te,
perché non sono riuscito a fare
ciò per cui sarei un servo per te?
Se dunque ho perso la mia innocenza,
forse che per questo ho perso la tua misericordia?
Se ho commesso ciò per cui potresti condannarmi,
forse che tu hai perduto
ciò per cui mi puoi salvare? (cf. Gb  9,28 Vulg.).

È vero, Signore. La mia coscienza merita la condanna,
ma la tua misericordia supera ogni offesa
.

Perdonami, dunque,
poichè per la tua potenza non è difficile,
per la tua giustizia non è sconveniente,
per la tua clemenza non è insolito
perdonare chi commette il male.
Poiché mi hai creato non lasciare che mi perda,
poiché mi hai redento non condannarmi.
Poiché mi hai creato nella tua bontà,
non perisca la tua opera a causa della mia iniquità.

Riconosci in me ciò che è tuo,
e togli da me quello che è mio.
Guarda a me infelice,
tu che sei tenerezza immensa,
a me che sono scellerato,
tu che sei misericordia universale.

Infermo, mi rivolgo all’onnipotente,
ferito, corro dal medico.
Conservami la dolcezza della compassione,
tu che alla fine hai sospeso la spada della vendetta.

Cancella il gran numero dei miei peccati,
rinnova la moltitudine delle tue misericordie
.
Benché io sia immondo, tu puoi mondarmi,
benché io sia cieco, tu puoi illuminarmi,
benché io sia malato, tu puoi guarirmi,
benché io sia come morto tu puoi risuscitarmi.
Comunque sia, buono o cattivo, sono sempre tuo.

Se tu mi scacci chi mi accoglierà?
Se tu mi disprezzi chi volgerà su di me lo sguardo?
Tu puoi rimettere più di quanto io possa commettere,
puoi perdonare più di quanto io possa peccare
.

Non mi opprima un piacere nocivo,
almeno non mi opprima un’abitudine perversa.
Preservami da desideri illeciti e cattivi,
da pensieri vani, dannosi, impuri,
dalle fantasie di spiriti maligni,
dalle sozzure della mente e del corpo.

Lancelot Andrewes, Una guida per la preghiera. Preces privatae

Pacomio: servo della volontà di Dio

Leggi tutto: Pacomio: servo della volontà di DioPoi, dopo la persecuzione, diventò imperatore il grande Costantino, ed essendo egli in guerra contro un usurpatore, ordinò di radunare molte reclute. Fu così reclutato anche Pacomio, che allora aveva circa vent’anni. Mentre le reclute discendevano il corso [del Nilo], i soldati che le avevano in custodia attraccarono alla città di Tebe e la le chiusero in prigione. A sera, poi, dei cristiani misericordiosi che avevano saputo la cosa portarono loro da mangiare e da bere e altri aiuti necessari, poiché erano nella tribolazione. Il giovane, chieste spiegazioni al riguardo, apprese che i cristiani sono misericordiosi verso gli stranieri e verso tutti. Allora di nuovo chiese che cosa fosse un cristiano; e gli dissero: “Sono uomini che portano il nome di Cristo, l’unigenito Figlio di Dio (cf.  Gv 3,16.18), e fanno ogni bene a tutti, perché sperano in colui che ha fatto il cielo e la terra e noi uomini”.

Appena sentì parlare di una grazia così grande, il suo cuore fu infiammato dal timore di Dio e dalla gioia. Allora, ritiratosi in disparte nella prigione, levò le mani al cielo per pregare e disse: “O Dio, Creatore del cielo e della terra, se davvero volgerai lo sguardo sulla mia piccolezza (1Sam  1,11; Lc  1,48), anche se io non conosco te, l’unico vero Dio (Gv  17,3), e mi libererai da questa tribolazione, io servirò la tua volontà tutti i giorni della mia vita e amando tutti gli uomini (cf. Lc  6,27.35) li servirò secondo il tuo comandamento (cf. Mt  19,19; 22,39; Mc  10,44)”.

Dopo aver pronunciato questa preghiera, si imbarcò con gli altri; e sebbene spesso nelle città i compagni lo importunassero per indurlo ai piaceri mondani o ad altre azioni disordinate, egli li respingeva attraverso il ricordo della grazia di Dio che aveva ricevuto: già dalla sua infanzia, del resto, amava molto la purezza.

Quando le reclute furono congedate, Pacomio, messosi in viaggio verso l’Alta Tebaide, giunse alla chiesa di un villaggio chiamato Chenoboscia; e dopo aver ricevuto l’istruzione, fu battezzato … Mosso ormai dall’amore di Dio, cercò il modo di diventare monaco. Allora gli fu indicato un anacoreta di nome Palamone, ed egli si recò da lui per ritirarsi con lui a vita solitaria. Giunto là, bussò alla porta e l’anziano, affacciandosi dall’alto, gli disse: “Che cosa vuoi?”. Ed egli rispose: “Ti prego, padre, fa’ di me un monaco!”. E quello gli disse: “Non ne sei capace: non è cosa da poco quest’opera di Dio: molti infatti sono venuti e non sono riusciti a sostenerla”. Gli disse Pacomio: “Mettimi alla prova in questo e poi vedi”. E l’anziano gli rispose: “Esaminati prima da solo per un po’ di tempo e poi torna qui. La mia ascesi infatti è dura. All’udire queste parole dell’anziano, il giovane si sentì ancor più rafforzato nello spirito per sopportare ogni genere di fatica insieme a lui. E gli disse: “Confido che con l’aiuto di Dio e con le tue preghiere riuscirò a sopportare tutto ciò che hai detto”. Allora, aperta la porta, l’anziano lo fece entrare e lo rivestì dell’abito dei monaci. E così, tutti e due insieme, praticavano l’ascesi e si dedicavano alle preghiere.

Pacomio, servo di Dio e degli uomini
Fonti greche sulla vita di Pacomio e dei suoi discepoli

La terra: un dono da custodire

Leggi tutto: La terra: un dono da custodireQuesto pianeta è un organismo che dona vita, e che è più che abbondante per quanti conoscono e praticano la moderazione.

La terra e l’umanità sono create e destinate a esistere in una relazione reciproca di rispetto e armonia. Questa però non è la realtà che oggi sperimentiamo. Poiché l’avidità domina le nostre comunità, il consumo cresce al di là di ciò che la terra ha la possibilità di sostenere. In altre parole, gli avidi depredano più risorse di quante la terra sia in grado di rinnovare. Possedere la terra in questa maniera egoistica significa privarla delle sue proprietà di vita ed esporre a una grave minaccia il resto della creazione. Poiché la terra è controllata dai pochi, i più vengono costantemente sfollati, spinti a emigrare e forzati ad affrontare l’estenuante disuguaglianza di reddito, la povertà e la fame. Perché allora ci ostiniamo a percorrere questa via autodistruttiva? Siamo così testardi da scegliere di non comprendere? Siamo così soddisfatti da ignorare le conseguenze del nostro stile di vita? Siamo così ignari da rimanere indifferenti?

Cerchiamo di essere uniti – nella solidarietà, nella determinazione, nel prendere le decisioni – per guidare il nostro mondo verso una visione più solidale e un’umanità più compassionevole …

Non possiamo separare la nostra preoccupazione per la dignità umana, per i diritti umani o per la giustizia sociale da quella per la custodia e la sostenibilità ecologica. Queste preoccupazioni sono saldate insieme, intrecciate in una spirale che può procedere in senso discendente o ascendente. Se apprezziamo ogni individuo creato “a immagine di Dio”, e se apprezziamo ogni particella della creazione di Dio, allora possiamo prenderci cura gli uni degli altri e del nostro mondo. In termini religiosi, la relazione che abbiamo con la natura riflette direttamente la relazione che abbiamo con Dio e con i nostri compagni di umanità, come anche la relazione che abbiamo con la biodiversità della natura.

In gioco non c’è unicamente il nostro rispetto per la biodiversità, ma la nostra stessa sopravvivenza. Gli scienziati prevedono che in futuro i più danneggiati dal riscaldamento globale saranno i più vulnerabili e i più marginalizzati … La crisi ecologica è direttamente collegata alla sfida per debellare la povertà e per difendere i diritti umani

La scelta è nostra! Ci troviamo in un momento critico nella storia e nel futuro del nostro pianeta, un tempo in cui la nostra famiglia umana deve decidere il futuro per la nostra comunità terrestre. La protezione della vitalità e della diversità del nostro pianeta è un compito sacro e una vocazione comune a tutti.

Bartholomeos I,
arcivescovo di Costantinopoli e patriarca ecumenico, Nostra madre terra

Natale: un tesoro è nato per noi

Leggi tutto: Natale: un tesoro è nato per noi

Che cosa possiamo offrirti in dono? Che cosa ti offriremo, o Cristo nostro Dio, per essere apparso sulla terra assumendo la nostra stessa umanità? Ognuna delle creature plasmate dalle tue mani ti offre qualcosa per renderti grazie: gli angeli ti offrono il loro canto (cf. Lc 2,13-14), i cieli la stella (cf.Mt 2,2), i magi i loro doni (cf. Mt 2,11), i pastori lo stupore (cf. Lc 2,18), la terra la grotta, il deserto la mangiatoia (cf. Lc 2,7). Ma noi ti offriamo una madre vergine. Tu che sei Dio prima dei secoli, abbi pietà di noi.

Liturgia bizantina (Vespro della vigilia di Natale), in Vieni sulla nostra strada. Preghiere a Cristo

Cristo, punto radiante di gloria,
immagine del Padre invisibile, Dio nostro,
nunzio dell’eterno disegno, principe della pace,
padre delle generazioni future.

Per causa nostra si è fatto simile allo schiavo,
diventando carne nel seno della vergine Maria,
senza l’opera dell’uomo;
per noi deposto, costretto entro fasce, in una mangiatoia,
adorato dai pastori e osannato dalle potenze angeliche,
che cantavano:

“Gloria a Dio nei cieli
e sulla terra pace e bene agli uomini”.
Rendici degni, Signore, di celebrare e chiudere in pace
la festa che magnifica il sorgere della tua luce,
evitando vane parole, operando con giustizia,
fuggendo le passioni ed elevando lo spirito
al di sopra dei beni della terra.

Benedici la tua chiesa, che hai formato da lungo tempo
per unirla a te con il tuo sangue vivente.
Vieni in aiuto dei pastori fedeli,
dei presbiteri e dei dottori.

Benedici i tuoi servi
che attendono tutto dalla tua misericordia;
le anime cristiane, gli ammalati,
quelli che sono tormentati nello spirito
e quelli che ci hanno chiesto di pregare per loro.

Abbi pietà nella infinita tua clemenza
e conservaci degni dei beni futuri e senza fine.
Noi celebriamo la tua nascita gloriosa,
con il Padre che ti ha mandato per la nostra redenzione,
con lo Spirito vivificante,
ora e sempre per tutti i secoli.

Amen.

Liturgia siriaca (Preghiera di Natale), in Vieni sulla nostra strada. Preghiere a Cristo

Oggi un tesoro è nato per noi.
Oggi è apparsa per noi la vera luce, la lampada della Vergine, accesa dallo Spirito santo.
Oggi è nato il medico dei ciechi.
Oggi è nata la guarigione dei paralitici.
Oggi è nata la forza dei malati, la potenza degli infermi.
Oggi è venuta la resurrezione dei morti, nostro Salvatore.
Oggi è apparsa per noi, nella notte splendente, la luce nuova.
Oggi è venuto il Salvatore di cui i profeti avevano annunciato
che sarebbe nato dalla Vergine.
Oggi è manifestato per noi, disteso in una mangiatoia,
il pane eterno che dà la luce colui che ha detto:
“Io sono il pane vivo disceso dal cielo; se qualcuno
mangia di questo pane non avrà più fame in eterno” (Gv 6,51).
Per la gloria della tua nascita, concedici, Signore,
la liberazione dai nostri mali e la gioia di cantare sempre le tue lodi.

Liturgia mozarabica (Sacramentari, v-vi secolo), in Vieni sulla nostra strada. Preghiere a Cristo



Natale, alleanza d’amore tra Dio e gli uomini

Leggi tutto: Natale, alleanza d’amore tra Dio e gli uominiMalgrado la grotta fosse così buia e così umile, sappiamo come gli angeli, accompagnati da una moltitudine dell’esercito celeste, immersi nella luce che da essa emanava, intonavano in cielo il cantico di gloria a quel Dio che, nella sua straordinaria umiltà, ha elevato l’uomo alla sua altezza. Così vediamo come Cristo, mentre era ancora un piccolo neonato nella culla, sia riuscito ad allargare la sfera della sua nascita e la portata della sua incarnazione. Guardate come sia riuscito a raccogliere intorno a sé, nelle sue prime ore di vita, i saggi venuti dalla lontanissima Persia e i poveri pastori, che nel freddo inverno palestinese trovarono riposo e consolazione.

Da allora, attraverso le immagini della sua umiltà che sono rimaste impresse nei cuori di coloro che lo amano, Cristo non ha smesso di attirare milioni di persone, generazione dopo generazione, per comporre il suo grande corpo che presenterà, a suo tempo, a Dio suo Padre. Cristo non è nato senza difficoltà, pianti e sofferenze. Nacque in inverno, nella stagione in cui la natura è più dura. Fu come se, nascendo, Cristo fosse già stato crocifisso dalla natura trovando come luogo dove far riposare il suo corpo fragile e tenero solo un mucchietto di paglia ruvida in una mangiatoia fatta di fango …

La nascita di Cristo è un enorme avvenimento divino che ha abbracciato la terra e tutte le generazioni degli uomini. Esso è capace non solo di svegliare chi dorme rispetto alla ricerca della salvezza ma anche di risuscitare i morti putrefatti nei loro peccati! La nascita di Cristo è la testimonianza più forte ed eloquente di quanto Dio abbia amato l’uomo. Lo ha amato di un amore personale. È per questo che ha preso un corpo umano al quale si è unito e l’ha fatto suo proprio per sempre. La nascita di Cristo è essa stessa un’“alleanza d’amore” stipulata per sempre tra Dio e l’uomo. Dio si è impegnato a Betlemme nel corpo da lui assunto, che non abbandonerà mai, in un’unione con noi che supera ogni comprensione e ogni logica. È un’alleanza che sancisce la grande riconciliazione e l’unione indissolubile tra divino e umano. Con questa nascita divina e verginale è stata inaugurata un’era di intimità e di affetto straordinaria tra Dio e ogni singolo uomo. Dio ne ha parlato un giorno, rivolgendosi a Cristo come se, in lui, si rivolgesse all’umanità intera, a ogni uomo: “Tu sei il mio Figlio, l’amato, nel quale mi sono compiaciuto” (Mc 1,11).

La nascita di Cristo è, dunque, un’alleanza d’amore stipulata da Dio con ogni uomo, un attestato di un incredibile abbassamento sottoscritto da Dio a Betlemme, nella persona di Gesù Cristo. In lui, Dio è disposto ad abbassarsi tutte le volte chiamando l’uomo all’amore e all’unione con lui. Nascendo, Cristo non ha offerto un modello temporaneo di amore che unì Dio a noi a Betlemme e che sarebbe finito con il compiersi del Natale. Si tratta, invece, di uno spazio divino aperto, illimitatamente, a tutti gli uomini e che non smetterà di restare aperto fino a che “tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato … perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17,21.26).

 Matta el Meskin, L’umanita di Dio. Meditazioni sull’incarnazione

L’umanità intera diviene madre

Leggi tutto: L’umanità intera diviene madre

Alla vergine Maria è stato consegnato per prima il mistero del Natale. Per noi, la Vergine rappresenta un modello straordinario di ciò che significa la vocazione. Dio la scelse per santificarla e lei accolse la vocazione alla santità e alla pienezza. Dio non scelse la Vergine perché era santa o la donna più pura della terra, ma perché lo diventasse. Quando accolse la vocazione, si compì per lei tutto ciò che Dio le aveva promesso. In Cristo, tutta l’umanità è diventata una vergine fidanzata per essere il corpo di Dio, il tempio in cui egli dimora. Noi, oggi, siamo scelti come un tempo lo fu la vergine Maria. Dobbiamo semplicemente accogliere l’invito, credere e dire come lei: “Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Se l’umanità rispondesse alla voce di Dio come fece la Vergine, concepirebbe e partorirebbe Cristo per fede. L’umanità intera sarebbe una madre, non una serva, per Cristo, e Cristo, il Figlio di Dio, diventerebbe un suo figlio perché si è compiaciuto di essere figlio di tutta l’umanità, Figlio dell’uomo. La vergine Maria, quando credette a quanto le era stato detto, accogliendo la vocazione, accolse anche il Verbo di Dio. Il Verbo di Dio stesso è offerto a tutti. Chi lo accoglie ne viene santificato, Cristo si unisce a lui. Con Cristo diventa figlio di Dio, nato da Dio, dallo Spirito santo, nel corpo e dal corpo puro di Cristo.

La nascita di Cristo non deve restare esterna all’uomo. Deve invece assolutamente penetrare nel cuore, nello spirito, nei sentimenti e in tutte le nostre membra. Cristo deve abitare per la fede nei nostri cuori (cf. Ef 3,17), colmando i nostri sentimenti, le nostre emozioni, la nostra memoria, la nostra consapevolezza e perfino il nostro inconscio, così che possiamo giungere alla verità del Natale, cioè all’unione del Figlio di Dio con la nostra carne. Quando meditiamo con amore sul Natale, quando ne facciamo memoria, quando lo contempliamo come qualcosa che ci riguarda personalmente, scopriamo che esso è la prima e più grande opera gratuita di misericordia che Dio ha realizzato nelle viscere dell’essere umano. Sperimentiamo la nascita di Cristo dentro di noi, la nascita della verità divina, della luce, della vista spirituale, del travolgente amore divino, la nascita della purezza, della santità, del timore di Dio che scaccia ogni orgoglio, ogni arroganza, ogni autoreferenzialità.

Quando nel nostro uomo interiore sorge il volto luminoso di Cristo, pieno di tenerezza, mitezza e umiltà, allora tutto il nostro orgoglio, tutta la nostra codardia, tutta la nostra ipocrisia vanno in fumo e il nostro silenzioso grido di dolore si placa. Allora soltanto conosceremo e capiremo il senso del Natale in noi gustando, nelle nostre viscere e nella nostra vita, la forza e la santità dell’incarnazione di Dio. Anche il nostro parlare e il nostro tacere ne usciranno trasformati.

L’esperienza di portare il Cristo in grembo è l’esperienza della pienezza umana con la quale viviamo continuamente in Dio, uniti con lui, rapiti dall’amore divino, in un’unione talamica misteriosa ed eterna che né la morte può dissolvere ne il pensiero può scuotere.

 Matta el Meskin,L’umanita di Dio. Meditazioni sull’incarnazione