La promessa delle persecuzioni

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Le persecuzioni si trovano nella promessa che Gesù fa a chi lo vuole seguire con radicalità: il che significa che se nel concreto dell’esistenza questo avviene, ovvero che ci si trovi a essere bersaglio di insulti e offese, violenza e inimicizia, la nostra sorpresa, il nostro stupore, il nostro giudicare inaccettabili e irricevibili questi comportamenti, indicano la nostra superficialità nel vivere la sequela cristiana.

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Il conflitto come occasione

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I conflitti sono una dimensione costitutiva dell’esistere. un’esperienza ordinaria e ineliminabile dell’umano. La vita avviene anche tra i conflitti, la cui presenza è legata al fatto ineliminabile e vitale della diversità. Siamo diversi e questo significa che sentiamo e pensiamo in maniere diverse, divergenti e anche opposte e questo può suscitare conflitti. Siamo diversi e non stiamo al mondo allo stesso modo. E anche il riferimento al vangelo non agisce in modo identico per tutti.

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Vivi con gioia

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La nostra vita è vivibile se essa è anche contrassegnata dalla gratuità, dalla gioia, dalla ricerca di bellezza nei rapporti con le cose, gli ambienti, gli animali, le piante, i fiori, da rapporti sobri e semplici tra di noi, ma animati da affetto e benevolenza. Se è bello cantare le lodi del Signore, è anche bello che i fratelli e le sorelle siano insieme (Sal 133). Questa bellezza è una costruzione quotidiana che chiede sforzo e impegno e su cui si posa la benedizione del Signore.

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L’equilibrio del lavoro

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Il lavoro è un modo di vivere la povertà perché si tratta di guadagnarsi il necessario con le proprie mani, altrimenti si finisce per vivere una vita di mollezze e comodità, mantenuti da chi fa doni ed elargizioni, magari sublimate ipocritamente come “Provvidenza”. La serietà della vita di lavoro è anche spesso il linguaggio capace di comunicare con le persone più semplici e di creare una simpatia e una base di comprensione con tante persone, comprensione che si situa sul piano prettamente umano. Questa serietà sul lavoro è fondamentale per evitare la decadenza di una vita monastica.

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Uno sguardo decentrato da sé

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Un grave rischio che paralizza la vita spirituale è quello di chiudersi in sé, di avere come centro e fine del proprio pensare e agire solo se stessi. Di non avere occhi che per se stessi. Di avere come oggetto di interesse e di discorso solo se stessi o la propria piccola cerchia di persone con cui si è in relazione, o al massimo la comunità, mentre esiste una marea di problemi enormi dell’umanità oggi, a cominciare dagli ospiti che vengono da noi e che cercano luce, senso, o almeno un momento di respiro da una quotidianità pesante e spesso invivibile.

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L’umiltà è lo Spirito santo

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A Pentecoste noi contempliamo la presenza di Cristo che si fa interiore e intima al cristiano attraverso lo Spirito santo. E questa inabitazione dello Spirito nel credente produce, come ricorda la tradizione monastica, l’umiltà. “L’umiltà è lo Spirito santo”, afferma Isacco di Ninive, è il segno della presenza dello Spirito.

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L’obbedienza che libera

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L’azione dello Spirito è consentita proprio dall’obbedienza. Oppure è impedita dall non obbedienza. A volte può trattarsi di un’obbedienza anche faticosa, contrastata, dolorosa, che costa, ma che pure, dice la Regola, ha un effetto di liberazione: liberazione dal soggettivismo e liberazione delle facoltà intellettuali.

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