L’equilibrio del lavoro

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Il lavoro è un modo di vivere la povertà perché si tratta di guadagnarsi il necessario con le proprie mani, altrimenti si finisce per vivere una vita di mollezze e comodità, mantenuti da chi fa doni ed elargizioni, magari sublimate ipocritamente come “Provvidenza”. La serietà della vita di lavoro è anche spesso il linguaggio capace di comunicare con le persone più semplici e di creare una simpatia e una base di comprensione con tante persone, comprensione che si situa sul piano prettamente umano. Questa serietà sul lavoro è fondamentale per evitare la decadenza di una vita monastica.

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Uno sguardo decentrato da sé

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Un grave rischio che paralizza la vita spirituale è quello di chiudersi in sé, di avere come centro e fine del proprio pensare e agire solo se stessi. Di non avere occhi che per se stessi. Di avere come oggetto di interesse e di discorso solo se stessi o la propria piccola cerchia di persone con cui si è in relazione, o al massimo la comunità, mentre esiste una marea di problemi enormi dell’umanità oggi, a cominciare dagli ospiti che vengono da noi e che cercano luce, senso, o almeno un momento di respiro da una quotidianità pesante e spesso invivibile.

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L’umiltà è lo Spirito santo

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A Pentecoste noi contempliamo la presenza di Cristo che si fa interiore e intima al cristiano attraverso lo Spirito santo. E questa inabitazione dello Spirito nel credente produce, come ricorda la tradizione monastica, l’umiltà. “L’umiltà è lo Spirito santo”, afferma Isacco di Ninive, è il segno della presenza dello Spirito.

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L’obbedienza che libera

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L’azione dello Spirito è consentita proprio dall’obbedienza. Oppure è impedita dall non obbedienza. A volte può trattarsi di un’obbedienza anche faticosa, contrastata, dolorosa, che costa, ma che pure, dice la Regola, ha un effetto di liberazione: liberazione dal soggettivismo e liberazione delle facoltà intellettuali.

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Dire io per dire noi

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Dietro a ogni sì totale, irrevocabile e libero vi è una storia lunga e impegnativa che riguarda la fede del singolo, la responsabilità della comunità e la qualità delle relazioni e dei comportamenti che essa mette in atto, ma in particolare, riguarda il discernimento vocazionale, la valutazione attenta della qualità umana, creaturale della persona che chiede di entrare nella vita monastica, e poi, soprattutto, la formazione. 

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Non dimenticare

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Ci sono dimensioni della nostra vita che con il passare del tempo possiamo, anche inavvertitamente, arrivare a dimenticare, a tralasciare, a non includere più nel nostro vissuto, a non ritenere più costitutive dalla vita monastica. Se le dimentichiamo, infatti, significa che esse non esistono più per noi e noi viviamo e ci comportiamo senza tenerne conto, come se non fossero essenziali.

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Tu lavorerai

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L’alleanza monastica passa anche attraverso la reale cooperazione e collaborazione comunitaria, a misura delle forze e capacità personali, rispettando le età e le debolezze di ciascuno, ovvero passa anche attraverso l’assunzione come proprio del lavoro che in comunità viene affidato. Chi non assume con serietà il lavoro sottomettendosi a questa obbedienza quotidiana, rivela la propria carenza di qualità monastica.

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