La solitudine è il crogiolo dell'amore

Al contrario dell'isolamento, la solitudine contraddistingue il momento della rivelazione di un essere a se stesso. Il solitario non è né disperso nel mondo, né isolato in se stesso. Non solo la solitudine si oppone all'isolamento, ma acquista un senso ulteriore: diventa uno dei segni distintivi dell'amore; forse, ne è il solo. Non c'è amore senza il doloroso apprendistato della solitudine, ma è possibile una pseudo-solitudine senza amore, quella dell'isolamento. Scrive Simone Weil: “Non lasciarti imprigionare da nessun affetto. Preserva la tua solitudine. Il giorno, se mai esso verrà, in cui ti fosse dato un vero affetto, non ci sarebbe opposizione fra la solitudine intima e l'amicizia; anzi, tu potrai riconoscerla proprio a quel segno infallibile”.
La solitudine è il crogiolo dell'amore. E la prova per la quale passano, a livelli diversi, lo sposo, l'amico. Essa non è sterile ripiegamento, ma realizzazione della costante novità del desiderio: desiderio dell'altro, desiderio di aprire all'altro quella parte di noi stessi che sfugge al nostro stesso sguardo, a quest'altro che ci è più intimo di noi stessi. Essa è fedeltà al desiderio unico la cui realizzazione non è possibile che nell'invincibile speranza che ne costituisce la forza e che, di supplica in supplica, ci conduce al cuore invisibile del mondo: Dio.

La solitudine del cuore

Senza la solitudine del cuore l'intimità dell'amicizia, del matrimonio e della vita comunitaria non può essere creativa. Senza la solitudine del cuore, nei nostri rapporti con gli altri noi saremo poveri ed avidi, viscidi e soffocanti, dipendenti e sentimentali, sfruttatori e parassiti, perché senza la solitudine di cuore non potremo percepire gli altri come diversi da noi stessi ma solo come persone da usare per il soddisfacimento dei nostri bisogni personali, spesso celati.
Il mistero dell'amore consiste nel fatto che esso protegge e rispetta la «solitarietà» dell'altro, creando lo spazio libero in cui egli può convertire l'isolamento in una solitudine da spartire. In quella solitudine ci si rafforza a vicenda per mezzo di un mutuo rispetto, di una considerazione sollecita delle rispettive individualità, di una lontananza rispondente alle reciproche intimità e di una comprensione riverente della sacralità del cuore umano. In tale solitudine ci si infonde l'un Paltro il coraggio necessario per scendere nel silenzio dell'intimo dove si scoprirà la voce di Dio che chiama ad una nuova comunione, al di là dei confini dell'umana socievolezza familiare. In tale solitudine si acquista pian piano coscienza della presenza di Colui che stringe in un abbraccio unico amici ed amanti, ed offre la libertà di amarsi l'un l'altro, perché «egli ci ha amati per primo» (1 Giov 4,19).

H.J.M. Nouwen, Viaggio spirituale per l’uomo contemporaneo, Queriniana, Brescia 2004

La solitudine rende possibile una vera e reale amicizia

In solitudine, invece, si può prestare attenzione al proprio io. Questo non ha niente a che fare con l'egocentrismo o con una introspezione malsana perché, secondo le parole di Rilke: «Ciò che accade nella profondità del nostro essere è degno di tutto il nostro amore». In solitudine possiamo essere presenti a noi stessi. Là possiamo vivere, come dice Anne Morrow Lindbergh «come un bambino e come un santo nell'immediatezza del qui e dell'ora». Là «ogni giorno, ogni azione, è un'isola, lavata dal tempo e dallo spazio, e di un'isola ha la completezza», In quel luogo possiamo anche essere presenti per gli altri, estendendoci fino a loro, non avidamente, per attirarne l'attenzione o suscitarne l'affetto, ma offrendo noi stessi per aiutarli a costruire una comunità d'amore. La solitudine non ci trascina lontano dai nostri fratelli ma rende piuttosto possibile una vera e reale amicizia. Pochi hanno espresso questo concetto meglio del monaco trappista Thomas Merton, il quale pur avendo trascorso gli ultimi anni dell'esistenza vivendo da eremita, fu condotto dalla solitudine contemplativa ad un intimo contatto con gli altri. Il 12 gennaio 1950 egli scriveva nel suo diario:«In questa solitudine profonda scopro la dolcezza che ci permette di amare realmente i fratelli. Più vivo da solitario più provo affetto per loro. È un affetto puro e pieno di reverenza per la solitudine altrui».

H.J.M. Nouwen, Viaggio spirituale per l’uomo contemporaneo, Queriniana, Brescia 2004

Prestare orecchio alle domande

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Con una lenta conversione dell'isolamento in solitudine si crea quello spazio prezioso in cui si può udire la voce che parla della nostra necessità intima, cioè della nostra vocazione. Se le domande, i problemi,gli interessi non sono esaminati e non maturano in solitudine, non è realistico aspettarsi risposte che siano proprio nostre. Quante persone possono reclamare come proprie le loro idee, le loro opinioni, i loro punti di vista? Non di rado il conversare intellettuale si riduce alla capacità di citare la fonte autorevole giusta al momento giusto...

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Un intimo campo di tensione

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Vivendo attentamente si impara a distinguere fra essere presenti in isolamento ed essere presenti in solitudine. Soli in un ufficio, in casa o in una sala d'aspetto vuota si può soffrire -d'isolamento irrequieto oppure godere di una solitudine serena. Insegnando in classe, ascoltando una conferenza, guardando un film o chiacchierando in un momento di svago, si può avere un senso pesante d'isolamento oppure la profonda soddisfazione di chi parla, ascolta ed osserva dal centro tranquillo della propria solitudine...

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