L'uomo di oggi fa molta fatica a trovare la strada della solitudine, la strada che lo conduce a se stesso, al mondo e a Dio.
Cos'è, dunque, la solitudine? Se essa si definisce in base alla relazione che ho con l'altro in cui m'imbatto o con l'altro che giace nella parte più intima di me stesso, la solitudine è il contrario dell'isolamento, che invece nega tale relazione.
L'isolamento si distingue dalla solitudine in quanto nega la possibilità dell'apertura all'altro, vissuta sempre come un'alterazione...
Continua la lettura
Esiste una interiorità che, come diceva Bernanos, assomiglia al gatto che gira attorno alla propria coda: intimismo, spiritualismo disincarnato, fuga dal mondo e dalle sue concrete responsabilità, compiacenze misticheggianti per meglio disprezzare la fatica quotidiana del mestiere di uomo. Ma è pur vero che questa sana rappresaglia a una spiritualità senza spina dorsale e senza piedi per terra, a sua volta è minacciata dalla tentazione opposta: affogare nell'attivismo e nell'agitazione quotidiana. Un'autentica spiritualità evangelica è un continuo, delicato, riconquistato equilibrio...
Continua la lettura
Multithumb found errors on this page:
There was a problem loading image 'images/barca_solitaria_960.jpg'
There was a problem loading image 'images/barca_solitaria_960.jpg'
La fede potrebbe essere presentata così: una vita che rischia l' « a so¬lo » con Dio. Fino a che manca questo incontro unico « faccia a faccia » col mistero di Dio, che si rispecchia nel mistero del nostro essere e fare l'uomo, non si entra nella fede. Si rimane nella sfera religiosa, dentro la quale giocano le immaginazioni e le suggestioni superstiziose. Dio, l'invisibile vivente e presente, non tocca né oc¬cupa l'esistenza concreta. Questo vivere faccia a faccia dinanzi al volto del mistero...
Continua la lettura
Viviamo un tempo nel quale viviamo molte esperienze comunitarie. Con esse si vogliono superare gli incontri anonimi e le attività burocratiche: si intende, soprattutto, offrire all'uomo uno spazio di autentica esperienza personale e di comunione fraterna. Tuttavia anche la comunità può diventare un alibi: un rifugio, cioè, alle proprie paure e impotente, piuttosto che una convergenza e una partecipazione di persone vere, ricche di vocazioni mature e di scelte virili.
Per evitare le illusioni e le improvvisazioni comunitarie, si tratta di capire una realtà apparentemente paradossale e contraddittoria: solo le vere solitudini sono capaci di vere comunioni. Per rifarsi al Vangelo, solo se il seme di una vita, di una coscienza, di una vocazione sa marcire (questo è il momento profondo e ricco di fecondità personale) matura e cresce il frutto dell'amicizia, della comunione, della partecipazione. Non ci può essere comunità dove vite immature svuotano altre vite; dove coscienze smarrite si aggrappano a certezze imprestate; dove vocazioni improvvisate cercano surrogati, succhiando vitalità invece che alimentare e donare vita.
Una comunità cristiana deve essere innanzitutto un incontro di « solitudini contemplative », se si vuole sfociare davvero in una comunione operante di scelte concrete e di rischi storici. Altrimenti rimangono « convivenze », fragili supporti a personali inconsistente interiori, che appoggiano il proprio vuoto sul vuoto altrui. Al massimo si avrà una convergenza esteriore di interessi culturali e intellettuali o, peggio, di emozioni estetiche.
Dove non crescono né si rispettano né salutarmente si provocano autentiche vocazioni, non nascerà né resisterà a lungo una comunità. Si parlerà di fraternità ma si spremerà sentimentalismo o umanismo; si pregherà anche insieme ma saranno più esercitazioni teologiche che abbandono alle sorprese dello Spirito e messa in comune del dono inesauribile della Verità fatta carne.
Umberto Vivarelli, La solitudine del cristiano