Addossati al deserto

ospiti di fronte alla chiesa monastica
...per camminare nella compagnia degli uomini...

Raccontata in breve la storia degli inizi, è necessario chiarire in quale senso la comunità formatasi e consolidatasi a Bose negli ultimi trent’anni si riconosca nell’alveo della tradizione monastica.
I monaci furono fin dai primi tempi della chiesa uomini e donne che, per poter vivere la vocazione cristiana in modo radicale, sentirono il bisogno di andare in disparte, di vivere ai margini della società e anche della chiesa visibile, a costo di essere marginali. Un monastero è solitamente addossato al deserto, alla montagna, ai boschi...

 

 Davanti a sé ha la città, un po’ distante ma non lontanissima; dietro a sé ha il luogo disabitato, il silenzio e la solitudine. Il monaco guarda alla città e alla chiesa: da esse non si separa mai, con esse mantiene contatti, per esse intercede e prega in una solidarietà totale. Alla città e alla chiesa egli qualche volta osa rivolgersi con la parola, con un gesto, con il silenzio; ma altre volte, per salvaguardare ciò che gli è stato affidato, è costretto a volgersi verso il deserto, dando l’impressione di voltar loro le spalle. Ma non c’è nessun disprezzo in questo suo ritrarsi: c’è solo la sua sete di ritorno al Signore, nel silenzio e nell’ascolto.

le case della comunità,veduta aerea
...addossati al deserto,alla montagna, ai boschi...
Bose ama definirsi una comunità addossata al deserto:una comunità nella quale al silenzio e all’ascolto della Parola e alla condivisione di questo tesoro con la stretta cerchia dei fratelli, si è sempre cercato di unire l’ascolto e l’accoglienza di ogni essere umano, per camminare nella compagnia degli uomini e condividere con loro gioie e speranze, tristezze e angosce.
Così, la vita di ogni fratello e sorella di Bose è ritmata da un lato dal servizio di lode rivolto a Dio nella preghiera, ma comprende dall’altro lato, in modo imprescindibile, il servizio agli uomini, compiuto attraverso un lavoro professionale, attraverso l’accoglienza degli ospiti, dei viandanti e dei pellegrini, nonché nel servizio offerto alla chiesa e alle chiese. Se, come dice la Regola di Benedetto, la prima cosa da accertare riguardo a chiunque chieda di entrare in monastero è “se davvero cerca Dio”, a Bose si è pienamente consapevoli che soltanto sulle tracce di Cristo, cioè nel servire e nel dare la vita per ogni uomo, è possibile cercare il vero Dio, e non un idolo.

Perché addossati al deserto, dunque? Per diventare esperti in ascolto e conoscenza del Signore e al tempo stesso esperti in umanità. Il fine è l’amore, la carità.

Fratello, sorella, tu ormai non sei più solo! Tu devi contare in tutto sui tuoi fratelli.
Ama costoro, che Dio ti ha dato come primi custodi, allo stesso modo in cui Cristo ti ha amato fino alla fine.
Ama questa comunità, e con essa e attraverso di essa tutti gli uomini. Ama tutte le creature, per esse loda Dio, e da esse cerca di trarre purificazione, lezione e consolazione.
Tu sei stato chiamato ad essere un segno di amore fraterno!

(Regola di Bose 2).

È la carità il télos, il fine della vita cristiana. Per questo la forma di vita scelta a Bose fin dagli inizi è stata quella del cenobio, affinché tutto sia ordinato alla vita e alla comunione fraterne. Sotto il primato della Parola di Dio, si cerca di mettere ogni cosa in comune, per far sì che la vita della comunità sia segnata da una condivisione così radicale da essere segno della comunione trinitaria che si dilata alla creazione intera.