Leggere è camminare

Leggere è camminare, procedere lungo lo stretto sentiero delle parole, con gli occhi fissi sul punto dove appoggiarsi, con gli occhi anche alzati a ogni curva di strada, a ogni cresta, quando si apre l’orizzonte e si intuisce meglio la strada percorsa e quella che attende. Grazie a Dio, la lettura non c’entra niente con gli sport motorizzati; si fa a piedi, passo dopo passo, poiché “le parole sono cammini” (Yehuda Amichai). Tutt’al più si può accelerare il passo, e leggere a grandi passi (ma leggere in diagonale è già leggere un altro testo). Chi segue un sentiero segnato non ha più nulla da imparare: le carte sono preziose, ma il sapere panoramico che dispensano non è quello della strada. Come dimenticare l’avvertimento di Antonio Machado: “Viandante, le tue orme sono / il cammino, e niente più; / viandante, non c’è cammino, / se non andando avanti”. Chi ha letto un racconto, una poesia, un discorso lo sa bene: il sapere dall’alto, di strutture e di piani, non è quello dell’attraversamento del libro. Non vi è nulla come l’esperienza del procedere, lungo il sentiero e la pagina, nello spazio e nel tempo. Di Noè si dice: “camminava con Dio” (Genesi 6,9). L’ebreo dice con una forma riflessiva, hithallekh: “Noè camminava con se stesso in compagnia di Dio”. Questa forma del verbo è quella del cammino proprio della lettura, dove si procede “custodendo con sé le cose”. Dove si fa memoria del cammino percorso, si fan previsioni di quanto si annuncia, e ci si arrende alle sorprese che il cammino riserva. Dove si avanza sotto il peso di domande: per Giacobbe tornare nel paese non significa affrontare Esaù, il fratello che ne vuole la morte? Dove si procede chiarendole: ha paura, infatti, Giacobbe, che si ripara dietro la carovana delle donne e dei bambini e dei doni che invia al fratello. Dove si è colti di sorpresa: quale cammino ha compiuto Esaù per precipitarsi a baciare così Giacobbe (cf. Genesi 32-33)? Nessuna mappa, nessun grafico, nessun commento si sostituisce al cammino della lettura, a questo tragitto che sollecita, tra il prima e il dopo, tutte le potenze dello spirito (J.-P. Sonnet, Le chant des montées. Marcher à Bible ouverte, Desclée de Brouwer, Paris 2007).

Viaggiare è attraversare frontiere

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Non c’è viaggio senza che si attraversino frontiere – politiche, linguistiche, sociali, culturali, psicologiche, anche quelle invisibili che separano un quartiere da un altro nella stessa città, quelle tra le persone, quelle tortuose che nei nostri inferi sbarrano la strada a noi stessi. Oltrepassare frontiere; anche amarle – in quanto definiscono una realtà, un’individualità, le danno forme, salvandola così dall’indistinto – ma senza idolatrarle...

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Il camminare di Gesù

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Gesù non è un uomo di città, ma nemmeno l’abitante sedentario di un villaggio. Frequenta i piccoli centri,ma nessuno di essi diventa la sua sede stabile. Sceglie di vivere solo provvisoriamente e brevemente in un posto, spostandosi da luogo a luogo. Camminare è il suo modo per entrare in contatto con la gente...

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Lucidità nella fedeltà

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“Ti seguirò” (Luca 9,57). Rispondendo a colui che passa per la strada, l’uomo generoso corre questo rischio: “dovunque tu vada”. Non fa nessuna riserva. Si offre con tutto lo slancio risvegliato dalla presenza del Signore ancora nascosto e già rivelato nel piccolo gruppo di coloro che fanno strada con lui...

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