“Che egli mi baci con il bacio della sua bocca!” (Ct 1,1). Il canto dei canti si apre su un bacio. Il Cantico si apre su un desiderio, un’aspirazione, una preghiera – la più bella che si possa fare –, il desiderio del cuore che si incarna nella richiesta delle labbra, luogo della parola e luogo dell’amore tenero e reciproco. Colui o colei che parla (“mi baci”, prima persona) si esprime senza rivolgersi direttamente all’altro, qui menzionato alla terza persona (“egli … della sua bocca!”). Alcune versioni hanno forzato la traduzione scrivendo: “Baciami …”, ma è ciò che lui /lei per l’appunto non dice. Lui /lei desidera la perfetta reciprocità, ma non la esige, non comanda nulla in forma imperativa, non dà ordini. Mi darà questo bacio quando vorrà, se vorrà, non appena vorrà; a lui /lei di scegliere, ma voglio che si sappia che io non desidero nulla di meno. Preghiera che implica la piena libertà di chi prega, e nel contempo lascia a colui che viene pregato piena libertà.
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Se dovessi... vorrei prendere le cose non troppo sul serio. Mi spiego: che un vescovo non prenda sul serio i suoi doveri pastorali è cosa inconcepibile. Ma può accadere a un vescovo, a un parroco, a un prete o non prete investito comunque di responsabilità, di prendere le cose troppo sul serio.
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La lettura pubblica di un testo nominatamente tratto da un libro santo, e annunciata come tale, nel corso di un’assemblea liturgica, è una scena rituale. La proclamazione a viva voce si fa significativa tanto per il suo protocollo, quanto per il suo contenuto o il suo discorso, a fortiori per ciò che si potrebbe ritenere la semplice comunicazione di un’informazione.
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