L’autentico pastore delle pecore
10 gennaio 2025
Gv 10,9-16
In quel tempo Gesù disse:" 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. 11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Il testo del vangelo, tratto dalla grande allegoria del buon pastore, è scelto per ricordare Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzio, due dei “Padri cappadoci” - il terzo era Basilio fratello di Gregorio di Nissa, vissuti nel IV secolo d.C. Erano teologi e filosofi, ma furono chiamati a essere vescovi, pastori di comunità cristiane e non si tirarono indietro accettando anche le difficoltà legate a un periodo storico ricco di contraddizioni. Ricordiamo questi santi leggendo questi versetti che tratteggiano la figura del pastore, quello bello, buono e vero: così si può tradurre il vocabolo greco kalos, lo stesso che echeggia più volte nel racconto della creazione nelle parole “e vide che era cosa buona” (Gen 1).
È un pastore che è tale perché si prende cura delle pecore, le conosce ciascuna “per nome”, le chiama, le conduce fuori dall’ovile verso il pascolo, è pronto a “donare tutta la sua vita per le pecore” anche di fronte ai pericoli rappresentati da ladri, predoni, mercenari che vorrebbero solo rapire, disperdere, distruggere.
È un pastore che è buono perché vive una relazione privilegiata con il Padre, il Dio che “solo è buono” (cf. Mc 10.18) ed esprime nella sua opera quella relazione di reciproca conoscenza, di scambio, di fiducia. Anche nell’Antico Testamento si parla di Dio che personalmente assume il ruolo di pastore per portare la salvezza al suo popolo (Salmo 23, Ezechiele 34.24-31) e il Messia atteso assume i tratti del pastore ideale.
È un pastore che è sempre in ricerca di altre pecore, anche di quelle che non sono ancora nel suo gregge, perché desidera portarle verso la vita in abbondanza. E dà un nome anche a loro, le chiama, e desidera che ascoltino la sua voce e anche loro lo seguano.
Di solito in questo testo è il buon pastore che emerge, che viene messo in evidenza. In fin dei conti questo pastore è Gesù, il Cristo, il Messia e attraverso di lui opera e agisce il Padre, il Dio di Israele. Ma è importante ricordarsi anche delle pecore, del gregge che solo giustifica l’esistenza del pastore. Il nostro Dio è un Dio che cerca la relazione, ha quasi bisogno di qualcuno di fronte a sé per vivere una dimensione di scambio, dialogo, confronto. E ciò che si prospetta per il gregge tocca noi che oggi leggiamo il racconto…
Il Signore Gesù conosce il nostro nome… ha plasmato il nostro profondo, ci ha tessuti nel grembo di nostra madre i suoi occhi hanno visto il nostro embrione (cf. Sal 139.13-16). E ci chiama a sé, ci chiede fiducia, ci chiede di seguirlo. E apre un varco nel recinto in cui rischiamo di rimanere intrappolati e perdere l’occasione di un pascolo di vita piena. Lui stesso è il varco, la porta, l’apertura verso uno spazio più ampio in cui la vita sgorga in abbondanza: è sufficiente passarci attraverso, accogliere e lasciarsi trasformare dai suoi gesti e dalle sue parole che vogliono prendersi cura di noi.
Così che anche noi possiamo dire “Non temo alcun male… tu sei con me… bontà e amore mi accompagneranno tutti i giorni della mia vita” (Salmo 23.4.6)
fratel Marco