Prendere sul serio le domande sul senso della vita
Prendere dunque sul serio oggi, nell’opera di trasmissione della fede, le domande umane e la domanda basilare sul senso, non solo non è estraneo al cristianesimo, ma è in linea di continuità con la logica dell’incarnazione. I discepoli hanno dato un senso radicale alla loro vita dopo aver visto l’umanità di Gesù, dopo aver ascoltato le sue umane parole, dopo essere stati testimoni dell’umanità del suo agire, dei gesti di guarigione e compassione con cui egli esprimeva la sua cura dell’umano menomato, e dopo averlo riconosciuto come risorto a partire dai gesti umanissimi con cui egli si è presentato loro: chiama per nome Maria (Giovanni 20,11-18), spezza il pane nel gesto quotidiano della condivisione della tavola (Luca 24,13-35), mangia e parla insieme con loro (Luca 24,36-49)... È dopo aver visto la sua umanità che essi hanno saputo riconoscere e confessare la divinità e ri-orientare la loro stessa esistenza. Questo discorso sul senso non vuole affatto dire che la chiesa ne sia la depositaria o ne abbia il monopolio, anzi! La fede non è una corazza fatta di certezze, non è un sistema di sicurezze e neppure una bacchetta magica: “Il credente esercita la sua fede sull’oceano del nulla, della tentazione e del dubbio: questo oceano dell’incertezza è il solo luogo in cui egli possa esercitare la fede” (Joseph Ratzinger).