Una stanza di quiete

Meditation Room, sede delle Nazioni Unite, New York
Meditation Room, sede delle Nazioni Unite, New York

Nella notte tra il 17 e il 18 settembre 1961 a Ndola (Zambia), in un incidente aereo di più che probabile origine dolosa, morì Dag Hammarskjöld, Segretario generale delle Nazioni Unite. L’insigne diplomatico svedese, cui in quell’anno verrà assegnato il Premio Nobel per la Pace postumo, progettò e seguì personalmente in ogni dettaglio la creazione della stanza per la meditazione al Palazzo delle Nazioni Unite così come la si può vedere ancora oggi, nella zona di ingresso aperta al pubblico. Hammarskjöld redasse anche il testo per il pieghevole a disposizione dei visitatori che accedono alla stanza da quando è stata aperta al pubblico nel 1957. Il dipinto sulla parete cui si fa riferimento è opera dell’artista svedese Bo Beskov, amico di Hammarskjöld. Anche il blocco di materiale ferroso al centro della stanza proviene dalla Svezia. 

Ciascuno di noi ha dentro di sé un centro di quiete avvolto dal silenzio .

Questo palazzo, dedicato al lavoro e alla discussione a servizio della pace, doveva avere una stanza dedicata al silenzio, in senso esteriore, e alla quiete in senso interiore.

L’obiettivo è stato di creare in questa piccola stanza un luogo le cui porte possano essere aperte agli spazi infiniti del pensiero e della preghiera.

Qui si incontreranno persone di fedi diverse e per questa ragione non si poteva usare nessuno dei simboli cui siamo abituati nella nostra meditazione.

Esistono tuttavia cose semplici, che parlano a tutti noi nella stessa lingua. Abbiamo cercato questo tipo di cose e crediamo di averle trovate nel raggio di luce che colpisce la superficie scintillante della solida roccia.

Così, al centro della stanza vediamo un simbolo di come, quotidianamente, la luce dei cieli dà vita alla terra su cui tutti ci troviamo, un simbolo per molti di noi di come la luce dello spirito dà vita alla materia.

Ma la pietra in mezzo alla stanza ha qualcosa di più da dirci. Possiamo vederla come un altare, vuoto non perché non vi è un Dio, non perché è un altare a un dio ignoto, ma perché è dedicato al Dio che l’uomo adora sotto molti nomi e in molte forme.

La pietra in mezzo alla stanza ci ricorda anche ciò che è saldo e stabile in un mondo di movimento e di mutamento. Il blocco di materiale ferroso ha il peso e la solidità di ciò che dura per sempre. È una memoria di quella pietra angolare di resistenza e di fede su cui deve basarsi ogni sforzo umano.

Il materiale di cui è composta la pietra conduce i nostri pensieri alla scelta necessaria fra distruzione e costruzione, fra guerra e pace. Con il ferro l’uomo ha forgiato le sue spade, con il ferro ha anche fabbricato i suoi aratri. Con il ferro ha costruito carri armati, ma con il ferro ha edificato anche case per l’uomo. Il blocco di minerale ferroso è parte della ricchezza che abbiamo ereditato su questa nostra terra: come dobbiamo usarne?

Il raggio di luce colpisce la pietra in una stanza di estrema semplicità. Non vi sono altri simboli, non v’è nulla che distragga la nostra attenzione o irrompa nella nostra quiete interiore. Quando il nostro sguardo si muove da questi simboli verso la parete di fronte, incontra un disegno semplice, che apre la stanza all’armonia, alla libertà, all’equilibrio dello spazio.

Un antico detto ricorda che il senso di un recipiente non sta nel guscio ma nel vuoto. Così è di questa stanza. È per quanti vengono qui per riempire il vuoto con ciò che trovano nel proprio centro di quiete.

da Dag Hammarskjöld, Tracce di cammino, Qiqajon, Magnano 2005