Abitare il silenzio

 

Una conversDSC 0147azione d’amicizia, d’amore, non è fatta solo d’uno scambio di parole. Comporta anche dei silenzi, che ne sono spesso i momenti culminanti, dei silenzi che possono essere il frutto immediato della recezione della Parola: momenti, in cui portiamo nel cuore questa Parola ed in cui ci lasciamo portare da essa; o dei silenzi che, da parte nostra, possono essere più eloquenti che un fiume di parole per dire a Dio la nostra povertà di fronte a lui, la nostra attesa, la nostra attenzione, o ancora l’abbandono della nostra volontà, il dono di tutto il nostro essere. Silenzio che si produce in noi, inoltre, quando prendiamo improvvisa coscienza dell’immensità infinita di Dio, della sua presenza indicibile, più vicina a noi che non lo siamo noi a noi stessi: non ci resta in tali momenti che fissare lo sguardo della nostra fede su questo mistero e riposarci in Dio; ogni parola sarebbe superflua e fuori posto, come quella di Pietro alla trasfigurazione (cf. Marco 9,2-13 paralleli). Fare silenzio è forse il nostro miglior modo di tradurre, per la nostra intelligenza e nella nostra lode, il mistero di Dio. “A volte le preghiere migliori si fanno senza parlare” (Calvino).
È evidente che Dio solo può riempire i nostri silenzi, e non dobbiamo sforzarci di ottenere questo artificialmente. Ma, in ogni caso, bisogna che vi sia qualcosa da riempire. Per questo la nostra meditazione, come tutta la nostra vita spirituale, deve essere cosparsa di pause di sospensione. Badi di non essere un discorso continuo e si prepari a questi silenzi. Ancora una volta, non si tratta di pensare molto, ma di amare molto; e l’amore non va d’accordo con molte parole

Pierre-Yves Emery, Meditazione della Scrittura, Centro studi ecumenici, Vicenza 1967, pp. 25-26.

 

CONSIGLIO PER LA LETTURA

T. Merton, La contemplazione cristiana, Qiqajon, Bose, 2001.