Arte: nostalgia dell’altro mondo
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Rappresentare l’invisibile è l’obiettivo che muove le migliori facoltà dei nostri artisti, è la meta ideale del nostro fervente spiritus phantasticus. Non c’è vera ri-creazione della realtà senza anelito alla trasfigurazione del sensibile e del mondano. Ma le opere d’arte possono raccontare l’assolutamente eterogeneo, l’invisibile, l’extramondano, lasciandosi abitare tanto dalle figure della realtà condivisa – avvicinate, magari, dal basso delle prospettive “semplici”, mimetiche, tipiche del realismo naturalista – quanto da quelle dell’immaginario, recuperate dall’alto per vie “complesse” d’archetipi e modelli. Qualunque siano i metodi e le vie di approssimazione intraprese, in arte si ambisce a rappresentare l’invisibile perché l’essenza stessa dell’arte è nostalgia dell’altro mondo.
L’opera d’arte intesa come evento ontologico è un abilitatore di energie che porta in un luogo ulteriore, nello spazio della presenza. E più precisamente nello spazio iconico della presenza.
Sappiamo bene, ormai, che nella tradizione orientale l’icona – quest’opera d’arte “iperbolica”, che svela un modo d’essere dell’immagine che non si può comprendere come un semplice oggetto della soggettività estetica – è uno dei sacramenti della presenza. Ben prima dei suoi lettori russi del secolo scorso, vari concili la definirono esplicitamente come il luogo delle manifestazioni divine … L’icona suscita una presenza e trae tutto il suo valore teofanico dalla sua partecipazione al “totalmente Altro”.