L’avventura della persona umana

L’essere umano cresce in primo luogo nel seno di una madre, poi ne esce. Cresce in seno a una famiglia dove si tessono, a poco a poco, fin dall’infanzia e anche prima, dei legami esterni ma sopratutto interni: con la madre, il padre, i fratelli, le sorelle, la famiglia. Legami necessari, riferimenti indispensabili, benché a volte posano essere distorti. Viene poi il giorno in cui questi legami, qualunque essi siano, imprigionano e soffocano più di quanto permettano di vivere, poiché vengono riprodotti senza sosta con varianti il più spesso inosservate ma che compromettono lo stesso il pieno sviluppo di nuove relazioni. Alcuni non percepiscono questi legami complessi e si piegano alla loro legge. Senza neppure saperlo chinano la testa, votandosi a un’infelicità che a volte chiamano felicità. Non c’è altra via d’uscita per loro. Altri vedono questi legami, ma la loro pressione è tale che la paura è più forte e si rassegnano  a quella che sanno essere un’infelicità. Per loro la ruota continua a girare, e i legami a incatenare, e non solo loro stessi. Infatti, secondo il decalogo, il difetto di libertà dei padri si riporta sui figli e su tre e quattro generazioni (Esodo 20,5). Alcuni, che hanno percepito questi legami, decidono di scioglierli pazientemente. Corrono il rischio – non senza paura, poiché è necessario che vincano molte resistenze interne ed esterne – di morire a un certo modo di essere nel quale si esiste in funzione di, sotto lo sguardo di, secondo il desiderio di… Morire alla morte, tant’è vero che “ciò che conduce alla morte è quel giro nel quale prendo in prestito l’occhio di un altro per negare me stesso” (Paul Beauchamp).

È il rischio  di nascere a se stessi per vivere in prima persona, secondo il proprio desiderio. A è possibile da soli? Questo rischio può forse essere corso senza una parola che permetta di credervi e della quale fidarsi? E ancora, da dove vengono questa chiamata interiore, questa energia a rischiare ciò che siamo, questa forza che rifiuta di essere ridotta a vivacchiare? Da dove viene quella follia che permette di credere che il pertugio non è un vicolo cieco, che nessun muro interiore è definitivamente insormontabile, che il morto può partorire un vivo e lo schiavo un uomo libero? Domande di questo tipo non s’impongono, ma è permesso formularle. Rischiando una risposta, alcuni parlano di energia vitale; altri di qualcosa che nell’uomo supera l’uomo, di trascendenza; altri ancora di Dio… Così, penso, san Giovanni: “Nessun, a meno di nascere di nuovo può vedere il regno di Dio” (Giovanni 3,3). Per l’evangelista, l’autentica conoscenza di Dio è legata alla nuova nascita. Quando dice che ci vuole questo passaggio per vedere come Dio regna, egli sceglie di chiamare “Dio” ciò o colui da cui l’uomo riceve di nascere vivo e libero allorquando sceglie di affrontare la morte (A. Wenin, L’uomo biblico Edb, Bologna 2005, pp. 92-93).

Preghiera per i viandanti

Signore, all’alba della nostra vita
noi sapevamo di appartenere soltanto a te
volevamo camminare con passo deciso verso di te.

Non sapevamo che la stella illumina differenti sentieri
non sapevamo che risplende anche in acque stagnanti
non pensavamo che brillasse sui buoni e sui cattivi.

Non conoscevamo le vie tortuose e impervie
i vicoli ciechi e i lacci nascosti per farci cadere
le strade impraticabili e i torridi deserti.

Non sapevamo di essere solo dei viandanti
dei pellegrini a un tempo itineranti ed erranti
dei nomadi in cerca di terre del cielo.

Signore, concedici di partire e trovare sorgenti
di non lasciarci attirare dall’acqua stagnante
di non perdere il gusto dell’acqua di fonte.

Resta sempre accanto a noi nel nostro cammino
per sostenerci nella ricerca del tuo volto di luce
per guidarci di notte con il fuoco e di giorno con la brezza.

Quelli che si sono smarriti ritornino a te
quelli che non ti hanno conosciuto possano incontrarti
quelli che sono morti si ritrovino in te.

Comunità di Bose

Itaca

Quando esci per intraprendere il viaggio verso Itaca,
prega che sia lunga la via,
colma d’avventure, colma di conoscenze.
I Lestrigoni e i Ciclopi,
l’irato Positone, non temere!
Costoro per la tua via mai tu troverai,
se resta il tuo pensiero alto, se nobile
emozione s’avvicina al tuo spirito e al corpo.
I Lestrigoni e i Ciclopi
il selvaggio Positone, non incontrerai,
se non li porti dentro, nella tua anima,
se la tua anima non li rizza davanti a te.

Prega che sia lunga la via.
Molti siano i mattini d’estate
in cui – con quale felicità, con quale gioia! –
entrerai in porti che vedi per la prima volta;
sosta negli empori fenici,
e i bei prodotti acquista,
madreperle e coralli, ambre ed ebani,
e voluttuosi profumi d’ogni sorta,
quanto più puoi, abbondanti voluttuosi profumi;
in molte città egiziane va’,
impara e impara dai sapienti.

Sempre nel tuo animo abbi Itaca.
L’approdo, lì è la tua destinazione.
Ma non affrettare assolutamente il viaggio.
È meglio che duri molti anni;
e già vecchio attracchi all’isola,
ricco di tutto ciò che hai guadagnato per via,
senza contare sulla ricchezza che Itaca ti darà.

Itaca ti diede il bel viaggio.
Senza di essa non saresti uscito per via.
Ma non ha da darti altro.

Se anche la trovi povera, Itaca non ti ha ingannato.
Essendo diventato tu così sapiente, con sì grande esperienza;
non foss’altro perché ora sai cosa sono le Itache.

Constantinos Kavafis 

Viaggiatori

L’indeterminatezza
ci rende elusivi come dèi.

La strada è il faticoso trionfo
dell’humus, dell’uomo
impastato con l’alito
che fa lievitare il suo fango.

Alessandro Ramberti 

La missione dei dodici (Marco 6,6-30)

Gli inviati di Gesù non portano con sé beni materiali. Si sono messi i sandali, hanno preso il bastone che permette loro di camminare su ogni strada (vale a dire in luoghi di facile o difficile accesso). Non hanno però pane né denaro: non sono dipendenti retribuiti da un’istituzione, non sono operai che appartengono a un’impresa … Vanno con poco bagaglio: semplicemente con ciò che hanno indosso. In tal modo possono essere testimoni di un regno che è grazie, dono di Dio che non si può mai comprare, vendere o meritare. Proprio la povertà li rende solidali con gli altri nel senso più radicale della parola: non possono pagare un albergo o comprare una casa. Devono chiedere ospitalità, rimettendosi così nelle mani di coloro che vorranno riceverli. La stessa autorità del regno … li rende dipendenti dagli uomini: così vanno alla mercé dell’ospitalità degli altri, come segno intenso del fatto che credono nella forza del Signore che li manda e li accompagna in modo misterioso sul loro cammino … Questi inviati di Gesù sono missionari con il segno della loro vita povera. Prima di offrire, di dare qualcosa agli altri, cominciano con il ricevere: si mettono nelle mani degli uomini e delle donne del posto, in atteggiamento di intensa piccolezza, di somma povertà. Soltanto in questo modo … si presentano - e sono - testimoni del regno di Dio che guarendoli li trasforma (Xavier Pikaza, Il vangelo di Marco, Borla Roma 1996).