Responsabilità/alterità
Assumere su di sé il peso degli altri consapevolmente non può dunque coincidere con la generosità dell’offrire – o nell’offrire quel che si può – ma piuttosto con il diuturno impegno perché si realizzi un mondo più giusto. Questo modo di atteggiarsi permetterebbe – perfino – di pensare la politica diversamente da quanto comunemente accade e renderebbe decisamente stonata la formula qualunquistica “sono tutti uguali”. L’assunzione di responsabilità a causa della giustizia potrebbe essere per tutti una buona ragione per impegnarsi disinteressatamene in politica contro gli usi personalistici ed arbitrari del potere. Ma – ci si chiede – se la politica nasce per mediare interessi come si potrà mai parlare, in essa, di disinteresse? ingenuità o follia. Tuttavia la politica si giustifica se e solo opera in vista dell’interesse generale: in questa luce, l’utopia del disinteresse si mostra più ragionevole di quanto non lo si pensi. Date queste premesse, chiara ne è la conseguenza: le società contemporanee diverranno società responsabili solo quando abbandoneranno la pratica diffusa dell’omissione, che le esonera formalmente dagli obblighi e permette loro la falsa coscienza: quella di sentirsi innocenti. Alla responsabilità non si sfugge perché non è cosa che si possa assumere a discrezione, però, ma è la realtà a imporla. L’altro nel suo puro esistere mi rende sempre e in ogni caso responsabile. Lo posso amare, aiutare, combattere, odiare: sempre e in ogni caso prendo posizione nei suoi confronti e non posso non prenderla. Quand’anche lo ignorassi sarei appunto responsabile di ignorarlo e sarei perciò nei suoi confronti sempre inevitabilmente giusto o colpevole, mai neutrale.