Piccolo gregge che spera

Fratelli, sorelle,
dice la nostra Regola:

“Da solo avresti potuto ben poco. Unito agli altri dalla stessa vocazione, tu puoi dimorare in una fede capace di trasportare ostacoli grandi come montagne. La comunità, anche se formata da un piccolo numero di uomini e di donne, resta il ‘piccolo gregge’ che spera contro ogni speranza” (RBo 12).

“Da solo avresti potuto ben poco”. Nella vita cenobitica si scopre la potenza della comunità che non è per niente coincidente con la somma delle individualità radunate insieme. “Da solo avresti potuto ben poco”. E tuttavia spesso succede che, una volta in comunità, rinasca la tentazione di isolarsi, di farsi soli nel senso di fuggire gli altri o per stanchezza, o per delusione, o per fastidio, ma alla fin fine per poca fede e per poco amore. “Da solo avresti potuto ben poco”. Sì, questa è un’esperienza che facciamo: vi è una potenza nel corpo comunitario che non consiste nella capacità di attività, di organizzazione di eventi, di lavoro, di creazione di legami. Tutto questo esprime dinamismo e vivezza, ma resta alla fin fine estrinseco, e potrebbe continuare a esistere, almeno per un certo tempo, anche una volta che la forza interiore della comunità fosse venuta meno.

Consiste invece, più profondamente, nel fatto che la comunità diventa alveo di accoglienza della grazia, diventa sacramento della presenza del Signore, ma questo solo se i suoi membri sono mossi dall’unico amore e dalla stessa fede, basati sul medesimo fondamento e tesi all’identico fine. Allora la comunità acquista una forza che nessuno di noi ha né mai potrebbe avere di per sé. E questa forza è presente anche se il nostro sguardo vede le innegabili, impressionanti miserie e piccolezze comunitarie, riconosce le lacune o le immaturità o le dipendenze o comunque i difetti propri così come dell’uno e dell’altro. Questa è la reale piccolezza della comunità, il piccolo gregge, non solo e non tanto in riferimento al numero esiguo di chi la compone.

Ebbene, in questa piccolezza, ciò che la comunità può e deve sempre fare è “sperare contro ogni speranza”. Sperare dunque anche contro se stessa, sperare contro l’evidenza, sperare dunque senza rinnegare la lucidità che ci porta a vedere ciò che non va, sperare nonostante ciò che vediamo in noi e negli altri, nella comunità stessa, ma sperare confidando nel Signore a cui nulla è impossibile. Questa è la speranza di Abramo (che “credette sperando contro ogni speranza”: Rm 4,18), speranza che nasce dalla fede che crede l’incredibile: “Egli non vacillò nella fede pur vedendo già come morto il proprio corpo e morto il seno di Sara” (Rm 4,19). Queste sono la fede e la speranza cristiane, che non dipendono da fattori esterni, ma che si radicano nel profondo, nell’intimo, nel cuore di ciascuno.
Perciò, fratelli, sorelle, siamo sobri e vigilanti, perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e rinnovando la nostra speranza, e tu, Signore, abbi pietà di noi.

fratel Luciano