La pazienza dell'amore

Fratelli, sorelle,

dice la nostra Regola:

Come cristiano, ogni giorno devi sforzarti di perdere la tua vita per il Signore, di rinnegare te stesso e metterti a seguirlo con attenzione e pazienza: l’attenzione del servo alla mano del padrone, la pazienza che esige il prendere su di te la croce ogni giorno” (RBo 6).

Sforzarsi, perdere la vita, rinnegare se stesso: tutte operazioni che trovano senso e diventano non solo comprensibili ma anzitutto accettabili e poi anche vivibili se esprimono la fede, la fede nel Signore, e poi se esprimono amore e libertà, se avvengono nello spazio dell’amore e della libertà. Solo se sono sorrette dall’amore per il Signore e per i fratelli e le sorelle e se manifestano la libertà personale, la decisione e la convinzione interiore della persona, allora esse sono praticabili e diventeranno anche feconde. Il rischio, altrimenti, è che vivere quelle dimensioni sotto il segno del volontarismo e del dovere porti all’isterilimento umano e all’inaridimento spirituale della persona. L’amore e la libertà, queste le uniche motivazioni che possono dar senso a tale cammino.

La nostra Regola esorta poi all’attenzione e, in particolare, alla pazienza. La pazienza è l’arte di vivere l’imperfezione, l’incompiuto, l’inadeguato che scopriamo in noi come negli altri, nella realtà e nella comunità. Essa è un bene necessario alla vita comune, necessario per reggere il peso del quotidiano, del tempo che passa, degli altri, della vita comune e il peso che ognuno di noi è a se stesso. La pazienza è necessaria per poter dire ogni giorno: “oggi io incomincio”. La pazienza è la virtù necessaria per cercare “di unire e riconciliare ciò che è opposto” (RBo 13), ciò che è diviso in noi come tra di noi, nella comunità. La pazienza non è passività, ma azione dell’amore: è l’amore che pazienta, ricorda Paolo. La pazienza dunque sopporta, sostiene altri, e anzitutto chi è nella fatica e in crisi. In particolare, pazienza è anche capacità di reggere e portare in sé delle sofferenze almeno per un po’, senza immediatamente riversarle fuori di sé, senza subito buttarle su altri, senza doverle subito esternare. Perché, in questo modo, noi non arriviamo mai a elaborarle e a farne qualcosa. E dunque perdiamo un’occasione di conoscenza di noi stessi e di maturazione umana e spirituale. Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti, perché il nostro Avversario, il Divisore, si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli forti nella fede e rinnovando ogni giorno la pazienza. E tu, Signore abbi pietà di noi.

fratel Luciano