Lettera agli amici - numero 8

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Questa lettera agli amici pone al centro dell’attenzione la figura del cardinale Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino dal 18 settembre 1965 al 27 luglio 1977 e garante della comunione tra i monaci cattolici della comunità di Bose e la loro Chiesa di appartenenza. Docente di Letteratura cristiana antica all’università di Torino dal 1938 al 1965, egli era stato nominato da Paolo VI arcivescovo della diocesi di San Massimo all’inizio dell’ultima sessione del Concilio Vaticano II, durante la quale aveva pronunciato due memorabili interventi dedicati rispettivamente alla libertà di ricerca nelle scienze religiose e al rinnovamento della cultura del clero. Padre conciliare, l’arcivescovo di Torino è presentato dalla lettera anche come vero e unico Padre della comunità di Bose: infatti «se essa ha avuto in questi anni molti pedagoghi in Cristo, non ha avuto che un Padre, il suo vescovo, Michele Pellegrino», Padre nel dialogo e nella comunione anche quando in alcune circostanze «ci ha richiamato con forza», come punto di riferimento saldo e autorevole sulla via da seguire per una comunità giovane, piccola e in formazione. Alla radice di questa profonda consonanza la lettera rinviene la comune considerazione data alle fonti del cristianesimo: la Scrittura e i Padri della Chiesa antica, in particolare i padri monaci come Gregorio di Nazianzio, Giovanni Crisostomo e Agostino. Dell’ultimo incontro con la comunità, avvenuto alcuni mesi dopo le sue dimissioni comunicate alla diocesi torinese fin dal 1° gennaio 1977, con largo anticipo rispetto alla scadenza prevista, la lettera riporta fedelmente le parole pronunciate dall’arcivescovo e accolte come un testamento spirituale: «Conservate l’attuale formula monastica di inserimento e di apertura al mondo, conservate l’attuale povertà nel vivere del vostro lavoro, continuate il vostro ministero di lettura, meditazione e annuncio e tutto questo dando sempre il primato all’ascolto della Parola, all’obbedienza alla volontà di Dio, al discernimento che nasce dall’assiduità della preghiera, cercando sempre di restare in comunione con la Chiesa»

Avvento 1977

Cari amici, ospiti e voi che ci seguite da lontano, abbiamo voluto il qiqajón come foglio di notizie per tener viva la comunione con voi e per questo l'abbiamo sempre lasciato nascere quando c'era qualcosa da comunicarvi. Ecco che ora, forse inaspettata a poca distanza di mesi dalla precedente, vi arriva questa lettera, impostaci dagli eventi che toccano la nostra vita comunitaria ed ecclesiale. La nostra comunità entra nel suo decimo anno di vita (questo per noi non è un anniversario da festeggiare!) e sente di essere giunta ad una tappa, in un certo senso alla fine di una stagione che chiede ora di delineare nuove prospettive per gli anni futuri: lo stesso numero di fratelli e di sorelle che oggi compone la comunità e la pressione di nuove vocazioni alla nostra forma di vita monastica ci impongono un confronto tra il progetto iniziale e le esigenze della vita, che, a loro volta, ci portano a pensare noi stessi in modo diverso, non nel contenuto cristiano e monastico, ma nella formula di vita comunitaria. Per questo gli attuali giorni sono per noi di ricerca, di discernimento alla luce della Parola di Dio, di riflessione per individuare il nostro futuro: accogliamo con soddisfazione l'inverno, che con la solitudine che ci porta, ci aiuterà anche a confrontarci, a dialogare di più in comunità.

A voi tutti chiediamo dunque la preghiera, vero e proprio sostegno per le eventuali decisioni che dovranno emergere nei prossimi tempi circa il nostro servizio alla chiesa, la fondazione di nuove fraternità, la nostra presenza in altri luoghi diversi da Bose. Ma l'occasione di questa lettera nasce dal bisogno di manifestare un ringraziamento al Signore e di dare una doverosa testimonianza nei confronti di padre Michele Pellegrino, il nostro vescovo che ha lasciato il suo posto di Pastore. Una comunità monastica come la nostra, nata spontaneamente nella chiesa del post-concilio e che con essa si è sempre mantenuta in profonda comunione, deve confessare, senza adulazione ma con parresia, che, almeno per quanto riguarda i membri cattolici, se ha avuto in questi anni molti pedagoghi in Cristo non ha avuto che un Padre, il suo vescovo, Michele Pellegrino. Egli ci ha accompagnato come episcopos, quale garante della nostra comunione con la chiesa cattolica, per tutti questi anni, dalla gestazione comunitaria fino ad oggi.

Tutti voi sapete che la nostra comunità non è situata nel territorio diocesano di Torino, ma che per una serie di ragioni di economia ecclesiale si è trovata ad essere sotto la sua sorveglianza. Le ragioni prime nascono dall'ambiente in cui la comunità ha fatto il suo decollo, l'ambiente di Torino. Enzo, il primo fratello che con un gruppo ecumenico si impegnò nella ricerca di una vita monastica, poté incontrarlo in un lungo colloquio il 21 novembre 1966. Il Padre lo confermò nella vocazione, lo incoraggiò con uno spirito cordiale e attento e non lo lasciò formulandogli solo degli auguri generici da ecclesiastico disattento: prova di ciò fu che volle p. Eugenio Costa sr. quale riferimento ecclesiale per una realtà ancora piccola e in formazione, come era allora la nostra, affinché questa esperienza avvenisse in comunione con la chiesa. In seguito venne scelta Bose come luogo della comunità, e la scelta avvenne solo perché là si trovarono delle povere case in disparte in grado di darci il silenzio e adattarsi allo stile di vita che cercavamo; purtroppo si registrarono tensioni con il Vescovo locale che, anche se certamente in buona fede, era preoccupato da una formula monastica cosi nuova, caratterizzata dall'essere ecumenica (cattolici e protestanti) e mista (fratelli e sorelle). Padre Pellegrino intervenne allora con paterna benevolenza, salendo a trovarci a Bose nel giugno del '68, quando abitavano il villaggio sperduto ancora soltanto il primo fratello e la prima sorella; egli cercò per quanto era possibile, di appianare le tensioni e ci garantì la comunione ecclesiale. Da allora è stato il nostro vescovo, chiedendo luí stesso di esserlo ed ottenendo l'accettazione dell'Ordinario del luogo, dal momento che il nostro ministero si svolgeva non solo nel luogo dove sorge la comunità ma, per la maggior parte, in tutta quanta la chiesa locale piemontese.

Il rapporto di comunione e di obbedienza con lui non è mai stato faticoso anche se la nostra "forma vitae" poteva a volte lasciare perplessi e pieni di dubbi sulla sua effettiva riuscita. A volte ci ha richiamato con forza, ha usato del suo potere di vescovo nell'esortare e nel rimproverare, soprattutto nel caso di una prassi temporanea di intercomunione; non ci è stato tuttavia difficile fargli ubbidienza perché sempre ha voluto il dialogo e sempre ha invocato e tenute ferme le ragioni evangeliche e la comunione nell'agape. I membri cattolici della comunità sono anche stati ripresi per certe posizioni assunte, ma ciò è avvenuto sempre direttamente, con fiducia e con fermezza, ma anche con la paternità di vescovo. Mai ha pensato, e secondo il diritto canonico poteva farlo, di scaricarci e di invitarci a cercare un altro vescovo - come era invece successo in precedenza. Per questo noi siamo convinti che senza di lui la nostra vita comunitaria sarebbe stata più difficile e la nostra comunione con la chiesa più faticosa: nelle tensioni e nelle ostilità patite non avremmo potuto forse sottrarci a sbandamenti e false contestazioni. Ci siamo chiesti più volte non il perché di questo dono fattoci dal Signore, ma che cosa rendeva possibile il capirci e il sentirlo sempre così in consonanza con noi in tutti i suoi gesti, i suoi atteggiamenti e soprattutto in tutto il suo ministero della Parola. Certo: il Padre è un uomo delle fonti; la Scrittura e la Patristica cui si è costantemente abbeverato gli hanno fornito un ministero episcopale veramente alimentato dalla linfa della chiesa indivisa. I padri che lui predilegeva erano stati tutti monaci, da Gregorio di Nazianzio, a Giovanni Crisostomo, ad Agostino, ed erano quei franchi vescovi che proprio perché possedevano l'intelligenza spirituale della Scrittura e la capacità di essere pastori in mezzo al gregge - e non al di sopra - avevano acquistato questo titolo di "Patres". Ecco perché, a differenza di chi si è formato sui manuali o sulla saggistica, padre Pellegrino non ha mai trasformato i problemi di una chiesa difficile in problematicismi e mantenendo serenità e fermezza ha saputo essere un'eco schietta della Parola "sine glossa' nella predicazione e nella lectio divina, un difensore dei poveri e degli ultimi, un pastore senza autoritarismi, ma anche senza abdicazioni del ministero ricevuto da Dio.

La nostra vicenda è di poca importanza, ed è un segno poverissimo, carico di limiti, ma non a caso è fiorito e si è sviluppato nel suo episcopato e sotto la sua sorveglianza. Noi non siamo e non abbiamo mai voluto essere una nuova chiesa a nostra dimensione e misura, ma soltanto un servizio, un ministero alle chiese: per questo abbiamo sempre sentito come indispensabile la comunione ed il fatto che essa ci fosse non solo perché siamo battezzati, ma anche in modo esplicito in quanto formiamo una comunità monastica. Quando i primi sette fratelli e sorelle fecero la professione monastica definitiva nella Pasqua del '73, fu lui a benedire questo gesto e ad accoglierlo, mandando p. Eugenio Costa a rappresentarlo. In tutti questi anni, poi, gli incontri, soprattutto con chi presiede alla comunità, sono stati costanti ed assidui ed egli non solo ci ha sempre permesso di predicare l'Evangelo nella sua chiesa, ma ci ha anche chiamato alla collaborazione negli organismi diocesani, come la commissione ecumenica, ed ha voluto la presenza di Enzo quale rappresentante della comunità al convegno su Evangelizzazione e promozione umana a Roma.

L'agosto scorso, memoria di s. Chiara, prima di lasciare il suo posto di pastore, ha voluto venire a Bose a trovarci tutti: le parole che ci ha lasciato sono per noi come un testamento che conserviamo e meditiamo nel cuore sperando di esservi fedeli: « Conservate l'attuale formula monastica di inserimento e di apertura al mondo, conservate l'attuale povertà nel vivere del vostro lavoro, continuate il vostro ministero di lettura, meditazione e annuncio e tutto questo dando sempre il primato all'ascolto della Parola, all'obbedienza alla volontà di Dio, al discernimento che nasce dall'assiduità della preghiera, cercando sempre di restare in comunione con la Chiesa ». Durante il canto dei Vespri, in cui padre Pellegrino ha voluto predicare sull'epistola del giorno, la comunità lo ha ringraziato insieme a tutti gli ospiti presenti; lo ringrazia ancora e sa nella fede che anche ora può contare su un 'servo di Dio", su un Padre. Ora la comunità vuole salutare il nuovo vescovo Anastasio Ballestrero: altro non può che promettergli l'obbedienza che si deve al vescovo e promettere la sua preghiera costante perché il Signore gli conceda le gioie del ministero, che è innanzitutto ministero di compaginazione della chiesa e ministero di comunione.

Cari amici, questi eventi ci hanno portato ad una più attenta considerazione del ministero episcopale, ci spingono a meditare di più sul bisogno urgente di comunione nella chiesa, comunione tanto minacciata e a volte così fragile; vi faremo certamente parte, in qualche modo, di quel che riusciremo a capire alla luce della Parola su questo punto che è cardine dell'unità ecclesiale. Per intanto, il nostro saluto fraterno nella pace e nella intercessione per tutti voi!


I fratelli e le sorelle di Bose