Il giogo leggero di umiltà e povertà

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4 ottobre 2024

Dal Vangelo secondo Luca - Mt 11,25-30 (Lezionario di Bose)

25In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. 28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».


“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!” (Mt 11,17). Il Battista ha predicato con rigore nel deserto, il Nazareno con compassione nei villaggi, ma nulla si è mosso, l’indifferenza continua a regnare sovrana. Non stupisce dunque che Gesù la sferzi con un tonante “guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida!” (Mt 11,21). Quel che stupisce invece è che a quel “guai” segua quasi senza soluzione di continuità un “ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”. 

Ecco lo sguardo di fede di Gesù, che scorge persino dietro l’incredulità più ottusa un misterioso disegno del Padre, e soprattutto che riconosce che qualcuno che ha vinto la sonnolenza dell’indifferenza c’è: i piccoli!

Ma chi sono questi “piccoli” che Gesù contrappone a “sapienti e dotti”? Sono semplicemente degli ignoranti o non piuttosto quelli che non ce la fanno più a sopportare un certo sistema chiuso e autoreferenziale di pensare e agire? Sono coloro che divengono “poveri in spirito” (Mt 5,3) perché affaticati e oppressi dalla seduzione del self-made man. Stanchi di trangugiare l’anestetico dell’insensibilità, questi piccoli dicono “basta!” e si aprono a qualcosa di nuovo. Non lo fanno per virtù ma per sfinimento, eppure al Signore questo spiraglio è sufficiente.

Così avvenne a quel giovane di Assisi vissuto 800 anni fa, che Tommaso da Celano, suo primo biografo, ci dipinge oppresso “dai legami della vanità”, da quella corsa al successo il cui traguardo si sposta sempre più in là; affaticato dal “giogo della perversa schiavitù”, da quell’asservimento davvero perverso al benessere, che giocherellando con le sue catene non smette di starnazzare “libertà”. 

Da tutto questo è affaticato e oppresso il ventenne Francesco quando grida il suo “basta!” con la voce silente di un bacio: “un giorno incontrò un lebbroso e, fatta violenza a sé stesso, gli si avvicinò e lo baciò”. Cadde con quel bacio il giogo antico e ne comparve uno nuovo, quello dolce “del Signore nostro Gesù Cristo”, con su scritto “umiltà e povertà” (Regola non bollata). È il giogo della croce, che rivela come la “stoltezza di Dio sia più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio sia più forte degli uomini” (1 Cor 1,25). Ed è giogo dolce perché davvero libera. Ci insegna infatti con la lentezza dell’aratro a spogliarci di tutti i fronzoli, delle false considerazioni di sé e di quelle mille consolazioni a cui chiediamo invano di liberarci dalla paura della morte. 

Quel giogo ci libera perché ci riporta alla terra, e insieme ad essa ci ricolloca nelle mani di colui che è “Signore del cielo e della terra”, là dove ogni creatura si trova, là dove possiamo metterci alla scuola persino dall’acqua e apprenderne l’umiltà “preziosa e casta”, dove possiamo finalmente chiamare la morte “sora nostra” e lodare e benedire il Signore, ringraziarlo e servirlo con grande umilitate (Cantico delle creature).

fratel GianMarco