Dare la parola agli esclusi
I cambiamenti più veri nella condizione umana avvengono dall’incontro personale, dal dare la parola al dolore degli esclusi. Anzi la guarigione del cieco provoca anche la guarigione di molti altri (cf. Luca 18,35-43). La folla che non sapeva di vedere ... riceve la vista grazie proprio a colui che, invece, avrebbe voluto zittire. Spesso la parola che il gruppo vuole zittire è proprio quella di cui ha bisogno per continuare a vivere. Ascoltare il “silenzio degli ultimi” dovrebbe essere la nostra passione come credenti e come interessati alle sorti dell’umanità. In ogni convivenza umana – nella polis come nella casa, nella comunità ecclesiale come in quella educativa – non tutti hanno la possibilità di dire la “propria” parola sul vivere insieme di cui fanno parte. Vengono definiti “ultimi” quelli che non riescono a fare sentire le loro parole, le loro grida, il loro silenzio.
Paradossalmente la vita e la crescita genuina di ogni convivenza richiedono la partecipazione di tutti. È scientificamente accertato che qualsiasi gruppo s’inaridisce e non raggiunge lo scopo per cui esiste se non prende in considerazione anche la parola degli ultimi. Chi ha esperienza di animazione di gruppi, sa che quando si riesce a coinvolgere i “silenziosi”, il gruppo ritrova vitalità ed energia. Il silenzio degli ultimi, le parole inascoltate non solo riducono la creatività e la vitalità del gruppo ma si trasformano in spinte distruttive a livello aggressivo o depressivo. Le parole non dette ci ha ricordato il poeta “impietriscono lo spazio tutto intorno”. Non si tratta solamente di una visione solidale del vivere insieme per cui “la campana suona anche per te” e “il dolore di ognuno è il dolore di tutti”: è il principio olistico ... che dimostra l’esistenza di una tale connessione tra tutti per cui la sofferenza di ognuno influenza, a molti livelli, gli altri, anche lontani ..; quando nella polis un gruppo domina zittendo l’avversario “sconfitto”, crea le premesse per future esplosioni di violenza.
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