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Quale vita i cristiani vivono nel mondo? E cosa significa che “ogni terra straniera è per loro patria e ogni patria terra straniera”?
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Il fatto di aver vissuto da stranieri sembra quasi il presupposto che abilita ad amare chi ora si trova nella medesima condizione. Una situazione, ieri vissuta e oggi ricordata, di precarietà e di bisogno diventa opportunità e, insieme, capacità di agire in favore del bene di altri. Diventa un punto di forza. In che senso?
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Nella storia di Abramo Dio appare tre o quattro volte, per trasmettere una benedizione, una promessa o un comando, mai però per lasciarsi vedere. L’episodio raccontato al capitolo 18 di Genesi fa eccezione: i tre forestieri incarnano una presenza divina che, in un primo momento, non sembra avere nessuna comunicazione da fare ad Abramo. Gli ospiti si ristorano, pranzano, e solo alla fine di un incontro che si è svolto come qualsiasi altro incontro umano recano ad Abramo e Sara, coniugi ormai anziani, la buona notizia della nascita di un figlio.
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Gesù cammina con i discepoli nella regione pagana di Tiro e Sidone. Una donna cananea va loro incontro gridando (Mt 15,21-28). Chiede aiuto per la figlia malata. Nessun ascolto! C’è una donna che implora per la figlia che soffre, e c’è un gruppo di maschi che procede insensibile, al massimo infastidito da una che intralcia il passo gettandosi ai loro piedi. È una scena violenta. Siamo nella terra del dolore che colpisce in maniera indistinta tutti gli esseri umani, ebrei e pagani, uomini e donne, e che non conosce confini né barriere. Eppure il maestro non si lascia toccare. Anzi ne fa un motivo per ribadire il senso della sua missione riservata solo alle pecore perdute di Israele e per discettare della sua teologia dell'elezione di Israele che giustifica il rifiuto di lei.
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