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Condividere tutto

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Nel libro della Genesi il tema della relazione uomo-donna è presente nel secondo racconto della creazione, quando la donna è creata non semplicemente come “aiuto” per Adamo, ma come alleata, aiuto paritario “che gli stia come di fronte”.

La parola ebraica ʿezer, infatti, che di solito viene tradotta con l’italiano “aiuto” (Gen 2,28), appartiene all’ambito dell’alleanza, ed è spesso usata in riferimento a Dio (per esempio nel Sal 117: “Il Signore è mio aiuto”). È un termine che non contiene alcuna idea di inferiorità, anzi esprime la relazione buona che può instaurarsi tra un uomo e una donna. Nessuna fusione, come spesso il romanticismo ci ha indotto a sognare: l’uomo sta di fronte alla donna, e viceversa, in un reciproco rapporto di amore nella parità, parità che suppone il rispetto della diversità.

Oggi cosa può significare questo, concretamente? Condividere tutto, dalla cura per la casa ai progetti futuri, pur mantenendo le rispettive identità, amicizie, passioni. Essere felici e solidali con tutti e aperti anche quando l’altro non c’è. Viverne l’assenza come una presenza certa, serena, senza struggimenti, patimenti, affanni. L’amore infatti chiede sollecitudine, non ansie, e respira a pieni polmoni.

A causa dell’alterità che esiste tra maschio e femmina può sorgere la paura reciproca. “L’alterità è ciò che più ci indispone, ci disturba e ci infastidisce” (cf. E. Bianchi, Adamo, dove sei?), ma è anche ciò che suscita in noi tensioni positive e slanci di vitalità.

Scriveva rabbi Rashi di Troyes, nell’XI secolo: “Se [l’uomo] ne è degno, la donna sarà un suo aiuto. Se non ne è degno, lei sarà contro di lui, per contrastarlo”. Questa intuizione rivela qualcosa di importante sulla dinamica maschile-femminile: solo nell’alterità è possibile capire chi veramente siamo. L’interazione con qualcuno che stia “di fronte”, senza sottomettersi e senza dominare, ci permette di avere su noi stessi un punto di vista nuovo, e consente una sana crescita reciproca.

La reciprocità uomo-donna non è, naturalmente, l’unica reciprocità possibile nel molteplice e variegato mondo umano: ciascuno di noi è diverso e, in questo senso, straniero a ogni altra persona. A partire da questa consapevolezza profonda, la relazione di ciascun essere umano con ogni altro essere umano è, potenzialmente, una relazione tra “stranieri”, e quindi una relazione feconda e buona. Anche la relazione dell’essere umano con Dio è, in un certo senso, una relazione tra “stranieri”, tra “altri”. Infine, anche il rapporto con noi stessi, in molti casi, ci chiede un certo grado di stranierità, di distanza, perché sia possibile una conoscenza vera di sé.

Ma siamo solo ad aprile, e di questi altri temi avremo modo di parlare, sempre a partire da ciò che suggerisce la Parola contenuta nelle Scritture, nei prossimi mesi.


Uno sguardo diverso

Agnès Varda è stata una delle più importanti registe della Nouvelle Vague. È venuta a mancare il 29 marzo 2019. Un’artista così carismatica da aver avuto in dedica da Jim Morrison “Light my fire”. A lei è dedicato il poster del Festival di Cannes di quest’anno.
Cléo dalle 5 alle 7 (1962). Una giovane e bella cantante aspetta un referto medico, sicura di essere molto malata. Il film scorre dalle 5 del pomeriggio alle 7, orario in cui incontrerà il medico. D’un tratto, nella sua vita di ragazza egoista e viziata, s’insinua una nuova emozione che le apre gli occhi: la paura della morte. Il film è un ritratto di Cléo colta nell'ansia dell’attesa. Cléo scopre di essere straniera a se stessa. Quel giorno nota parecchie cose, alle quali non aveva badato prima. Cléo, attraversa il parco di Montsouris e racconta la sua storia a uno sconosciuto: straniero alla sua vita e “altro” in quanto offre lo sguardo di un uomo. Insieme vanno fino all’ospedale per conoscere l’esito dell’esame radiologico.