La Famiglia - Silvia Vegetti Finzi

Leggi tutto: La Famiglia - Silvia Vegetti FinziPsicologa clinica, psicoterapeuta dell’età evolutiva e della famiglia, scrittrice e giornalista, già professoressa di Psicologia Dinamica presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pavia. Attiva nel Movimento delle donne, è stata membro dell’Istituto Nazionale di Studi per l’infanzia e l’adolescenza, del Comitato Nazionale di Bioetica e del Consiglio Superiore della Sanità. Nel 1989 ha ricevuto i premi nazionali per la Psicoanalisi e la Bioetica. Collabora regolarmente con il Corriere della Sera, il Blog di “Io donna” Psiche lei,il mensile Insieme e la rivista svizzera Azione.

Senza la mobilitazione morale del desiderio di chi intende diventare padre e madre, nessuna legge sarà mai in grado di mettere ordine nella vita sequestrata ai corpi e ai destini. In questo senso la maternità, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, rappresenta nella sua forma ideale un paradigma esemplare: ci mostra infatti che è possibile limitare l'onnipotenza inconscia, porre freno all'egoismo proprietario dell'io e del mio. Inizialmente la madre ha un possesso assoluto del figlio. Da lei dipende non solo il corpo ma anche la mente del bambino. Il suo dominio non conosce eguali perchè, contrariamente allo schiavo di fronte al padrone, al servo dinnanzi al signore , al prigioniero alla mercè del suo aguzzino, il neonato non può neppure pensarsi separato dalla madre.
Eppure la simbiosi originaria progressivamente si schiude al riconoscimento che il figlio è un altro, diverso da come lei l'aveva sognato e cresciuto. La maternità, che tendiamo a considerare solo come una forma di possesso, si apre invece, anche grazie alla funzione socializzante del padre, all'accettazione dell' autonomia e dell'indipendenza del figlio, all'ammissione che la vita che gli è stata data non appartiene a chi lo ha generato.

Con la modernità la dimensione della maternità ha assunto confini sempre più individualistici e privatisti. Ormai l'essere madre, generare un figlio non è più un fatto collettivo ma un'incombenza che grava quasi esclusivamente sul nucleo famigliare ristretto o spesso solo la donna. Spesso si sente dire che la gravidanza ormai passa “come niente fosse”, come fosse un tempo che non ha per la futura madre, niente di diverso dagli altri; continua il lavoro e le altre attività, ma questo non permette di preparare il grembo “psichico”, ma solo quello fisico. Il figlio è l'ospite che è sempre altro da quello che si è immaginato e per questo ogni figlio va adottato, tutti siamo figli adottivi, e tutti tramite questa adozione abbiamo ereditato la certezza di essere unici e non ripetibili. Ci vuole disponibilità per accogliere un figlio, e fare passare la gravidanza sotto silenzio non è il mondo migliore per prepararsi ad avere un figlio. Non siamo solo soggetti sociali e produttivi ma anche soggetti psicologici. La maternità ha inoltre bisogno di silenzio, l'accoglienza e la disponibilità si preparano nel silenzio, nella riflessione e nella concentrazione. Come dice Simone Weil: “Abbiamo bisogno di attenzione, l'attenzione è il dono più grande che ci possa essere dato”.

Silvia Vegetti Finzi propone un excursus attraverso l'efficacia dei simboli per riscoprire ciò che abbiamo perso: quelle dimensioni che abbiamo dimenticato e che sono da sempre, prima del tempo, quelle forze telluriche che permettono di uscire dalla logica stretta del calcolo e degli interessi egoistici e che aprono e permettono la vita e la generazione. E' necessario riprendere il giusto contatto con la natura con i suoi ritmi e le sue stagioni, oggi si pensa che sia qualche cosa che non ci riguarda e che quindi possiamo sfruttare per i nostri interessi. Per questo bisogna riflettere sul rapporto dell'umanità con il limite che ormai sembra non esserci più: a quale punto ci fermeremo? Questa mancanza del limite ci angoscia ma non sappiamo gestirla. La filiazione dovrebbe essere sottratta al calcolo delle convenienze e alle ingerenze della tecnica. Il desiderio di un figlio viene da lontano e non è certo governato dall'interesse. C'è una spinta che non è solo individuale e viene da lontano. Ci vogliono tre volontà: quella della madre, quella del padre e quella del bambino che vuole venire al mondo. E' un compito che la coppia esegue. Bisogna saper vivere nell'ordine dell'obbedienza non solo quello del calcolo. Quello che conta non si conta.

 

Sintesi della giornata di Sofia Bianchi

Perchè la riforma? - Paolo Ricca

Leggi tutto: Perchè la riforma? - Paolo RiccaPastore a Forano Sabino (Rieti) dal 1962 al 1966 e a Torino dal 1966 al 1976.
Titolare della cattedra di Storia della Chiesa presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma dal 1976 al 2002.
Giornalista per l'Alleanza Riformata Mondiale presso il Concilio Vaticano II.
E' succeduto al Prof. Valdo Vinay nella Commissione "Fede e Costituzione" del Consiglio Ecumenico delle Chiese fino all'Assemblea generale di Canberra.
Negli anni di insegnamento presso la Facoltà Valdese di Teologia ha coperto più volte l'incarico di decano.
Professore ospite presso il Pontificio Ateneo Sant'Anselmo di Roma.
E' stato Presidente della Società Biblica in Italia per due mandati.
Collabora regolarmente al Segretariato Attività Ecumeniche di cui è insieme a Don Giovanni Cereti, il coordinatore del Gruppo Teologico.
Curatore della collana "Opere Scelte" di Lutero edita dalla casa editrice Claudiana.
Collabora al programma "Uomini e profeti" a cura di Gabriella Caramore per RAI RADIO TRE.

Il vasto movimento di rinnovamento della fede e della pietà nella Chiesa cristiana d’Occidente, sorto intorno agli anni Venti del 16° secolo e poi chiamato dagli storici Riforma protestante, nacque in Germania per opera del monaco agostiniano Martin Lutero. Si diffuse poi in tutta Europa anche grazie all’opera di altri riformatori, come lo svizzero Zwingli e il francese Calvino. La Riforma è stata qualcosa di più e di diverso da una semplice ‘riforma’, ed è diventata un modo nuovo (e al tempo stesso antico) di essere cristiani.

Le cause o ragioni di un fenomeno complesso come la Riforma sono molteplici. Era presente senza dubbio una ragione morale: la vita del clero, comprese le alte gerarchie ecclesiastiche, era in alcuni casi tutt’altro che cristiana, e da tempo si invocava da più parti un’energica riforma dei costumi. Ci furono ragioni economiche: una fu il desiderio legittimo di liberarsi di un regime fiscale particolarmente esoso che convogliava verso la Chiesa e in particolare verso Roma grandi quantità di denaro; l’altra fu che la Riforma accompagnò la transizione dall’economia feudale a quella precapitalistica. Vi furono ragioni sociali: le classi subalterne (i contadini) e quelle emergenti (artigiani, commercianti e piccoli imprenditori) vissero la Riforma anche come incentivo alla loro emancipazione o alle loro libere iniziative di tipo economico. Vi furono anche ragioni politiche e infine ragioni culturali.
Tutte le ragioni ora elencate devono essere tenute presenti per spiegare e capire la Riforma. Ma la ragione decisiva rimane quella religiosa: la Riforma nacque dalla riscoperta del Vangelo come annuncio della libera grazia di Dio, donata al peccatore senza riguardo ai meriti e senza condizioni. Questo annuncio è il cuore della Bibbia, che venne tradotta nelle lingue volgari e largamente diffusa tra il popolo. La Riforma fu per molti aspetti un grande movimento di alfabetizzazione biblica popolare del cristianesimo occidentale.

LA RIFORMA COME DECISIONE

“Con la Riforma non si scherza” disse Karl Barth in una celebre conferenza dal titolo “La riforma come decisione”. Così Paolo Ricca ci presenta la sua riflessione sulle ragioni e sulla natura di quel passaggio storico e teologico che chiamiamo Riforma protestante. Essa nasce, dice Ricca, in un clima di attesa e di ripensamento sui temi fondamentali della fede e dell'uomo. Sorge da una domanda precisa: qual è il vero messaggio cristiano? Questo interrogarsi ha portato Lutero a sviscerare alcuni temi centrali della vita di fede, e in particolare il tema della giustificazione per grazia mediante la fede. Al centro c'è la riflessione radicale sul problema della penitenza, della vera penitenza, come atto fondante dell'ingresso nel cristianesimo.

All'inizio non voleva essere altro che riforma, ma poi, più la riflessione proseguiva più divenne qualcos'altro: divenne contestazione a ciò che oggi chiamiamo la Chiesa costantiniana reduce ancora dallo strettissimo sodalizio con il potere politico, perfettamente integrata con il sistema, e soprattutto fu – dice Barth – una vera e propria rifondazione della Chiesa. La Riforma infatti tentò di ripensare radicalmente il fondamento della chiesa, la quale fino ad allora era fondata unicamente sul papato inteso nella sua accezione più ampia di garanzia di successione apostolica. Lutero e i riformatori tentarono invece di fornire alla chiesa l'unico fondamento realmente stabile: la Scrittura. La Chiesa cattolica non comprese però questo atto di ripensamento radicale come un'opportunità per riformarsi ma anzi condanno questo movimento come eretico.

Per quanto riguarda gli esiti storici e teologici della Riforma, Ricca conclude citando Barth: “Si può senz'altro porre la domanda seria: se i riformatori con la loro rifondazione della chiesa non hanno osato un'impresa che non avrebbero dovuto usare poiché l'umanità europea non era all'altezza di questa impresa ardita e se essi non ci hanno lasciato un eredità di cui non sappiamo cosa fare perché esige da noi una fede che non siamo in grado di offrire e non corrisponde al nostro interesse e al nostro scopo.”

Sintesi della giornata di Sofia Bianchi

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I volti della madre - Massimo Recalcati

Leggi tutto: I volti della madre - Massimo RecalcatiVive e lavora come psicoanalista a Milano. Ha discusso la sua tesi di laurea in Filosofia, dal titolo "Desir d'être e Todestrieb. Ipotesi per un confronto tra Sartre e Freud", con il prof. Franco Fergnani nel Luglio 1985. Nel 1989 si è specializzato presso la scuola di Psicologia di Milano diretta da Marcello Cesabianchi. Ha discusso la sua tesi di specializzazione in Psicologia, dal titolo "Analisi terminabile ed interminabile. Note sul transfert", con il prof. Enzo Funari. Ha svolto la sua formazione analitica a Milano con Carlo Viganò e a Parigi con Jacques-Alain Miller ed Eric Laurent tra il 1988 e il 2008.

L'’ideologia patriarcale che oggi sta esalando i suoi ultimi respiri, voleva ridurre l’'essere della donna a quello della madre. Era solo la figura della madre a sancire una versione benefica, positiva, salutare, generativa della femminilità. La donna, invece, separata dalla funzione materna, si prestava ad incarnare i fantasmi più maligni: cattiveria, peccaminosità, lussuria, inaffidabilità, stregoneria, crudeltà. Mentre la donna realizzata nella madre riusciva a emendare gli aspetti inquietanti della femminilità, la donna che rifiutava l'identificazione con la sola maternità portava con sé lo stigma di una anarchia pericolosa e antisociale che doveva essere redenta con gli strumenti della morale pedagogica o della psichiatria. Questa versione della femminilità (madre uguale bene, donna uguale male) è stata giustamente criticata e superata.

La madre è il primo volto nel quale ci riconosciamo e la prima voce che risponde al grido della vita.

Massimo Recalcati offre una panoramica di luci e ombre sul complesso mestiere di essere madre. La figura materna che attende, che cresce in sé il figlio, colei che gli dona la vita è anche colei che lo dona alla vita. Dunque non lo tiene per sé, non ne fa una sua proprietà ma subito lo riconosce come altro e per farlo vivere impara a perderlo. La madre inoltre è colei che nutre il figlio, il quale però oltre al nutrimento vuole essere riconosciuto, amato e desiderato, altrimenti, se manca questo, rifiuterà anche il nutrimento. Il figlio, che dal padre riceve l’equilibrio tra legge e desiderio, e impara il senso del limite, chiede alla madre di essere amato di un amore particolareggiato; la madre dunque è colei che soccorre e che presta attenzione al particolare, all’unicum del figlio. Ama il reale di suo figlio e non l’ideale. Le derive antitetiche a cui la maternità può giungere sono da un lato la rinuncia alla femminilità e all’essere donna della madre e dall’altro la rinuncia ad essere madre fino in fondo della donna. Nel primo caso il figlio non sperimenta l’assenza della madre, e dunque viene soffocato dalla sua estenuante presenza, nel secondo caso invece il figlio si sente non desiderato e non amato ma anzi d’inciampo nella vita e nella carriera della madre. Dunque la maternità si esprime nel dare cure particolari, diversificate a ciascuno dei figli, senza però trattenerli, ma lasciandoli liberi, si tratta di accettare e desiderare il figlio ma di guardarlo subito come altro e di “un altro”.

Sintesi della giornata di Sofia Bianchi