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Solitudine e comunione

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 Bose, 3-4 novembre 2007

“Conosco due specie di solitudine: l’una che mi rende triste da morire e mi dà la sensazione di essere persa, senza direzione; l’altra, al contrario, mi rende forte e felice. La prima deriva dal fatto che ho l’impressione di non aver più contatto con i miei simili, di essere totalmente separata da ciascuno di loro e da me stessa, al punto da non capire più che senso può avere la vita, mi sembra che non abbia più coerenza e che io non vi trovi il mio posto. Ma l’esperienza di un’altra solitudine mi rende forte e sicura di me stessa, mi sento in comunione con tutti, con tutto e con Dio, mi sento inserita in un grande condividere anche con altri questa grande forza che è in me (Etty Hillesum). Spesso vediamo solitudine e comunione come antagoniste e cerchiamo la seconda per scappare dalla prima mentre, in realtà, si tratta di accettare una dimensione di solitudine costitutiva del nostro essere umani per accedere alla vera comunione con gli altri: “Chi non sa stare da solo, si guardi dal cercare la comunione. Ma viceversa è vero anche che chi non si trova in comunione si guardi dallo stare solo. Esclusivamente nella comunione riusciamo a essere soli ed esclusivamente chi è solo è in grado di vivere nella comunione. Sono due cose interdipendenti. Esclusivamente nella comunione impariamo a essere soli nel modo giusto ed esclusivamente nella solitudine impariamo a essere nella comunione in modo giusto. Non si ha la precedenza di una condizione sull’altra, ma esse si determinano contemporaneamente con la chiamata di Cristo (Dietrich Bonhoeffer). Si tratta di scoprire che si può essere in comunione nella più grande solitudine e nella più intensa comunione scoprire uno spazio di solitudine che custodisce noi e l’altro da ogni assorbimento e fusionalità, che ci fa essere con noi stessi.

Ascoltare la voce del fragile silenzio

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Bose, 6-7 otttobre 2007

“Dopo aver camminato a lungo per le vie, in mezzo alla gente, alle cose e ai segnali, ho voglia di isolarmi dal rumore: cerco un luogo tranquillo per riposare, rilassarmi, pensare, cominciare ad ascoltare. Questa condizione di silenzio e di solitudine mi permette di ritrovare una percezione di me e del mondo che mi sta attorno, precisamente un ascolto. Il silenzio che mi sono procurato, isolandomi dai rumori normali, mi permette di ascoltare. Ma è piuttosto un pensare, un ascolto pensante. Come se prima fosse stato l’esterno a riempire la mia esperienza, e invece adesso esterno ed interno agissero in me corrispondendosi. E forse è proprio questo gioco, grazie al quale interno ed esterno passano l’uno nell’altro senza appiattirsi e riassorbirsi l’uno nell’altro, che mi fa sentire e pensare assieme. Mi accorgo che in questo rilassarmi ho lasciato essere una dimensione di apertura della mia esperienza che di solito è messa a tacere” (Pier Aldo Rovatti).

La capacità di fermarsi e custodire il silenzio per accedere all’ascolto di sé, dell’altro, di Dio che parla attraverso la sua parola, è la prima condizione di ogni seria e autentica vita spirituale. Per vivere e non essere vissuti e agiti da altro. Ma il silenzio non è facile, vi sono “ombre” del silenzio che occorre attraversare per giungere a quel silenzio “altro” che ci mette in ascolto di noi stessi, delle nostre ferite sino a quella ferita profonda che è la paura della morte. Per poter scoprire proprio in essa, nella nostra costitutiva mortalità, la presenza del Dio di Gesù e cominciare a guardare a noi e alla storia con gli occhi di Dio. In questo cammino di silenzio e di ascolto siamo preceduti e accompagnati dall’esperienza di Gesù che passando attraverso le ombre del silenzio seppe ascoltare ed accogliere la propria fragilità e vulnerabilità, divenendo così capace di amore e comunione con gli esseri umani a partire dagli ultimi, dai poveri, dagli sfigurati.

Gesù uomo per gli altri

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 Bose, 20 -25 agosto 2007

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Compagnia teatrale «I 4 individui» durante la rappresentazione «Il baule magico»

C’è un uomo che ama a tal punto la vita e gli altri da non temere di andare incontro alla morte, e a una morte infamante...

C’è un uomo che non è daltonico; conosce l’oppressione e l’ingiustizia e non usa mezze parole, sa ascoltare il grido dei poveri, degli “invisibili”, eppure al male non risponde con il male, giunge a perdonare coloro che lo uccidono.

Quest’uomo conosce la tentazione di pervertire il volto di Dio e il volto dell’uomo, piegandoli agli interessi del clan, del gruppo, dell’etnia, della patria, della religione e all’idolo del potere, ma lui sa restare fedele al volto del Padre e alla carne dell’uomo.

C’è un uomo libero che si chiama Gesù, quell’uomo che l’annuncio di Pasqua proclama risorto e alla destra del Padre. Quell’uomo che c’insegna a vivere nell’oggi e a dare forma umana alla nostra esistenza.


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Compagnia teatrale «I 4 individui» durante la rappresentazione «Il baule magico»
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Giovani presenti durante lo spettacolo

 Una settimana ascoltando il racconto di questa vita e lasciandosi interrogare, perché sulle sue tracce possiamo dare  anche noi forma umana alla nostra esistenza.  Una settimana cercando di imparare a vedere con il suo sguardo  ad ascoltare con il suo ascolto, perché una storia differente, “altra” sia possibile non solo per noi, ma per ogni uomo. Una settimana è poco, è niente, è solo un granellino... eppure con altri compagni di viaggio e in ascolto di quest’uomo interrogarsi sulla  nostra vita non è poco.


Meditare, pensare, leggere

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