Né visto né conosciuto
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8 maggio 2024
Gv 14,1-11
In quel tempo Gesù disse:"1 Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: «Vado a prepararvi un posto»? 3Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. 4E del luogo dove io vado, conoscete la via».
5Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». 6Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
8Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: «Mostraci il Padre»? 10Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. 11Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
Per Giovanni la cena/lavanda e i discorsi che la seguono, si collocano dopo l’equivalente del Getsemani (cf.12,23-33): le parole del Signore vanno comprese alla luce di questo. Gesù “non turbato”, che rassicura i discepoli, è il punto di arrivo della sua faticosa obbedienza, di un combattimento affrontato e superato accogliendo la sconfitta, perché vittoria non è trionfare ma accogliere (cf. Gen 32,25ss; Giacobbe e l’angelo). Rivela allora che il fallimento è per lui esplicitazione del servizio già prestato e svelamento della struttura sovversiva della comunità cristiana, in cui il “Signore e maestro” è il servo di tutti. Propone così autorevolmente di vivere il fallimento comunitario, tradimento, l’impossibilità a seguire, il rinnegamento, come occasioni di fiducia in Chi ha chiamato.
Gesù è sicuro, perché pienamente consapevole di questo; noi siamo incerti e spaventati, perché non abbiamo ancora percorso il cammino. Spesso ci sentiamo sconfitti dagli altri e dalla vita per la nostra incapacità di accogliere, per un auto-centramento che non conosce altra realizzazione di sé che l’essere primi. Questa brama può travestirsi di religioso. Penso ad un motto che mi sembra ambiguo e pericoloso: “Primi in tutto, per la gloria di Cristo Re!”. Ma rischiamo di dover fare i conti con uno sconosciuto Signore perdente! Se l'obiettivo è il primato, allora ogni strada per raggiungerlo, anche la meno evangelica, assume una giustificazione addirittura religiosa.
La prima richiesta che è anche uno strumento che ci viene offerto per affrontare le vicende della Passione e della vita in generale, è invece entrare in un rapporto di fiducia, che è la declinazione esistenziale del credere. Gesù insiste ripetutamente: credi… credetemi… Amare è fidarsi! Non degli eventi ma di Dio, come Gesù stesso ha imparato a fare. Siamo chiamati a fidarci allora del nostro Maestro, della sua fede!
Non si tratta di fideismo immotivato ed inconsistente, acritico, ma di fede fondata sulla convinzione accolta e faticosamente custodita di una storia che va a finire bene, ha un senso, una direzione ed un arrivo positivo, per opera di Gesù e non nostra, quindi slegata dai limiti e dalle cadute del discepolato.
Anche l’allontanamento è preparazione di un ritorno e di una comunione definitivi in una casa con un sacco di spazio, magari con la porta stretta, che chiede di comprimere il nostro ego, ma in cui c’è spazio per tanti, speriamo per tutti, dato che è promessa per discepoli non proprio splendidi! Una casa soprattutto in cui uno prepara il posto per noi, che non siamo operatori di salvezza ma percorriamo la via che ci è stata mostrata. Una via che è la vita stessa di Gesù raccontata dai Vangeli nella loro multiformità (sono quattro!), in cui ogni nostra esperienza trova spazio. Si tratta di vedere Dio in un modo di vivere: un percorso unico perché del Signore, differente perché è il nostro personale tentativo di seguirlo.
Il racconto non risparmia le espressioni della nostra povertà esitante: “non conosciamo”, “non vediamo…”, del nostro cercare garanzie di qualche tipo che ci sostengano e ci risparmino la fatica della fiducia, il rischio del credere. Veniamo rassicurati da parole, dall’opera del Padre in Gesù: “Questa è l’opera di Dio, credere in colui che egli ha mandato” (6,29).
fratel Daniele