Fame di umanità autentica
2 dicembre 2024
Mt 21,18-22
In quel tempo 18mentre Gesù rientrava in città, ebbe fame. 19Vedendo un albero di fichi lungo la strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: «Mai più in eterno nasca un frutto da te!». E subito il fico seccò. 20Vedendo ciò, i discepoli rimasero stupiti e dissero: «Come mai l'albero di fichi è seccato in un istante?». 21Rispose loro Gesù: «In verità io vi dico: se avrete fede e non dubiterete, non solo potrete fare ciò che ho fatto a quest'albero, ma, anche se direte a questo monte: «Lèvati e gèttati nel mare», ciò avverrà. 22E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete».
Se immaginiamo e pensiamo il vangelo come sola sequenza di miracoli e buone azioni compiute da Gesù, il brano di oggi, come quello della cacciata dei mercanti dal tempio che lo precede, ci spiazza e lascia perplessi.
Ciò che è presentato potremmo chiamarlo un contro-miracolo come è stato definito da Silvano Fausti. Se nei miracoli ciò che accade è sempre il passaggio da una situazione di morte, di malattia, di sterilità a una di resurrezione, di nuova vita e fecondità, qui accade il contrario: un fico viene fatto seccare dalle parole di Gesù e i discepoli (e noi con loro) restano attoniti. Gesù continua dicendo che noi stessi, se avremo fede, potremmo far seccare la pianta di fico, addirittura potremo, sempre in forza della fede, spostare le montagne.
Il testo è paradossale, tanto più a una prima lettura. Gesù ha appena cacciato i mercanti dal tempio: il luogo di comunione tra Dio e il suo popolo è divenuto “un mercato”, in cui comprare benefici da Dio attraverso le offerte. Il luogo in cui ha trovato dimora lo Spirito di Dio diviene luogo di svendita del suo amore per l’umano. Da luogo di dono diviene luogo di rapina e di mercanteggio. Il tempio simbolo cosmico dell’universo intero da spazio di fecondità diviene luogo di sterilità.
Nel brano che segue, come in un dittico, il fico diviene il simbolo dell’umano, tempio dello Spirito. Pianta simbolica, a volte ritorta, capace di nascere e crescere nei punti più impervi e con poco terreno e di fruttificare trasformando la luce del cielo in dolcezza per la terra. Spogliata e rivestita ogni anno delle sue foglie, usate da Adamo per coprirsi dalla nudità.
Qui Gesù non trova frutti: razionalmente, se non è stagione, non può ovviamente trovarne. Ma se andiamo oltre, al di là della superficie possiamo comprendere che, come nel tempio Gesù trova commercio e rapina, così nell’umano, figurato dal fico, non trova alcun frutto, quelli per cui l’umano è chiamato alla vita: amare Dio e amare il prossimo.
La fame di Gesù, a cui segue la sua invettiva, oltre allo stimolo della fame è “altro”: è fame di umanità capace di amare, di accogliere, di fruttificare in ogni stagione, non solo nei momenti e nelle occasioni prefissate. L’umano che non è capace di gratuità, di dono, di riconoscere nei volti di chi incontra un altro umano, con gli stessi diritti, con la stessa dignità è un fico secco: al di là dell’apparenza e delle foglie c’è sterilità di vita e non capacità di amore.
Il fico seccato all’inizio del tempo di Avvento diviene insegnamento: non dobbiamo aspettare altri tempi per vivere il senso della nostra vita, già qui e ora l’Avvento è stagione propizia in cui vivere l’amore per Dio e per l’umanità. L’attesa del ritorno del Figlio dell’uomo alla fine dei tempi non è scorrere di aride stagioni infruttuose, ma è già qui e ora sperimentare che il Signore ha fame della nostra libertà di amare, ha fame della nostra autenticità, della nostra felicità di umani capaci di gioia.
In questa luce il fico seccato allora non è tanto segno di maledizione e fallimento ma occasione per ridestarci a noi stessi, scoprendoci capaci di fecondità inattesa e inimmaginata. Ridestare la nostra fede, piccola come un granello di senape ma capace di spostare le montagne dell’odio e della violenza se radicata nel Signore e non in sterili terreni.
fratel Michele