Lorenzo Milani
Entrato in seminario a 20 anni nel 1943, ordinato nel 1947, cappellano a san Donato dal 1947 al 1954 quando viene inviato a Barbiana dove rimane fino alla morte (1967). Del tema della pace nell’opera di Milani vogliamo cogliere solo un aspetto, un evento.
L' 11 febbraio 1965 si riunisce la sezione dei cappellani militari toscani in congedo (presenti 20 su 120). Al termine approvano una mozione: “Consideriamo un insulto alla patria e ai suo caduti la cosiddetta obiezione di coscienza che, estranea al comandamento cristiano dell'amore, è espressione di viltà”. Il tono è provocatorio e offensivo. Nella Lettera ai giudici don Milani ricorda: “Sedevo dinanzi ai miei ragazzi nella mia duplice veste di maestro e di sacerdote e loro mi guardavano sdegnati e appassionati. Un sacerdote che ingiuria un carcerato ha sempre torto. Tanto più se ingiuria chi è in carcere per un ideale. Non avevo bisogno di far notare queste cose ai miei ragazzi. Le avevano già intuite. E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una lezione di vita”. È in quel periodo che Gozzini era stato condannato per obiezione di coscienza e padre Balducci, che ne aveva preso le difese venne denunciato e condannato. Milani scrive una lettera aperta ai cappellani militari spiegando il senso del suo intervento: “Primo perché avete insultato dei cittadni che noi e molti altri ammiriamo. E nessuno che io sappia, vi aveva chiamati in causa. A meno di pensare che il solo esempio di quella loro eroica coerenza cristiana bruci dentro di voi una qualche vostra incertezza interiore. Secondo perché avete usato, con estrema leggerezza e senza chiarirne la portata, vocaboli che sono più grandi di voi”. Polemizza con il concetto di patria, che ha legittimato armi “che sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove”. Ripercorre la storia italiana mostrando l’ingiustizia delle varie guerre e pone il problema dell'ubbidienza.
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