Il diniego
Infatti, la morale della vicinanza, che abbiamo ereditato dall’età premoderna, dove non c’erano i mezzi di informazione e dove la società era circoscritta a piccole comunità o a piccoli gruppi, tendeva difendere il gruppo familiare o comunitario e a ignorare tutto il resto. Oggi che i mezzi di informazione ci fanno conoscere quanto accade in tutto il mondo, il persistere nella morale della vicinanza non ci consente di vivere all’altezza del nostro tempo, se non a colpi di diniego, che può assumere la forma dell’indifferenza per tutte le disgrazie che accadono lontano da noi, o la forma dell’insensibilità dovuta al fatto che fondamentalmente i miei bambini non muoiono e non moriranno di fame, e che io non sono stato né sarò cacciato di casa mia dopo aver visto mia moglie uccisa a colpi di machete. Questa consapevolezza dettata dalla morale della vicinanza finisce col sostituire alla responsabilità, alla sensibilità morale, alla compassione, al senso civico, al coraggio, all’altruismo, al sentimento della comunità, l’indifferenza, l’ottundimento emotivo, la desensibilizzazione, la freddezza, l’alienazione, l’apatia, l’anomia e alla fine la solitudine di tutti nella vita della città. Contro il diniego non dobbiamo invocare la verità che talvolta nemmeno a noi stessi possiamo ammettere, ma quel principio che la rivoluzione francese ha messo in circolazione, e che è stato finora del tutto ignorato: non l’uguaglianza, non la libertà che nel novecento hanno contrapposto la visione comunista e capitalista del mondo, ma la fraternità. L’abbondanza di informazione che è il tratto tipico del nostro tempo ci rende infatti responsabili di ciò che sappiamo e, se non diventiamo sensibili alla fraternità, di fronte a quel che sappiamo diventiamo irrimediabilmente immorali, a colpi di diniego (U. Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 2003, pp.107, 111-114).