Il diniego
Per arrivare a queste conclusioni è necessaria una falsificazione del nostro apparato cognitivo (non riconoscere i fatti che si conoscono), emozionale (non provare sentimenti di fronte a fatti che li sollecitano), morale (non riconoscere nei fatti alcuna valenza di ingiustizia o di responsabilità), e di azione (non agire in risposta a quanto consociamo). Se abbandoniamo il grande scenario della storia, per entrare nella sfera più ristretta della nostra vita privata, il diniego dilaga in tutte le sue forme in maniera insospettata. I membri della famiglia hanno una capacità sorprendente di ignorare o fingere di ignorare che cosa accade davanti ai loro occhi, sia esso abuso sessuale, violenza, alcolismo, follia o semplice infelicità. Esiste un livello sotterraneo dove tutti sanno quello che sta succedendo, ma in superficie si mantiene un atteggiamento di assoluta normalità, quasi una regola di gruppo che impegna tutti a negare ciò che esiste e si vede. Qui il diniego è il primo adattamento della famiglia alla devastazione causata da un membro, sia esso alcolista, o drogato, o pedofilo, o violento, o folle, o dedito a traffici illeciti. La sua presenza deve essere negata, ignorata, sfuggita o spiegata come qualcos’altro, altrimenti si rischia di tradire la famiglia. Qui scatta quella che potremmo definire la morale della vicinanza che è quanto di più pernicioso ci sia per la coscienza privata e, a maggior ragione, per quella pubblica.