Pensare il nemico
Da questo momento, la realtà non è più soltanto il riflesso delle nostre paure e delle nostre recondite aspirazioni, delle nostre chimere e della nostra ragione inappellabile: ora diventiamo capaci di vedere anche la storia dell’altro, attraverso i suoi occhi; sperimentiamo un contatto più sano e incisivo con i fatti. Aumentano così le nostre probabilità di evitare errori fatali, e diminuiscono quelle di incorrere in una visione egocentrica, chiusa e limitata. Così possiamo cogliere – in un modo che prima non potevamo permetterci – il fatto che quello stesso nemico mitico, minaccioso e demoniaco non è altro che un insieme di persone spaventate, tormentate e disperate, quanto noi. Questa scoperta, secondo me, è l’inizio necessario di un lungo processo di risveglio e di conciliazione. Questo modo di rapportarsi a noi stessi, al nemico, al conflitto in sé, alla nostra vita dentro il conflitto, questo modo di rapportarsi rappresenta secondo me, più di ogni altra cosa, un atto di rinnovata autodefinizione in quanto persone, nel contesto di una situazione la cui sostanza e i cui metodi sono disumanizzanti. Questo tipo di atteggiamento potrebbe anche restituirci quel qualcosa della nostra umanità che ci è stato sottratto con un processo rapido e cruento, di cui non sempre avvertiamo la gravità (D. Grossman, Con gli occhi del nemico, Mondadori, Milano 2007, pp. 32-38).