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Giocatevi!

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“Ci scusi, sa indicarci abba Simone?” – chiediamo a un uomo distinto, che si fa spazio come noi tra la marmaglia che affolla la taverna in quest’ora della notte.

“Lo sto cercando anch’io” – ci urla in risposta per sovrastare il vociare alticcio di quel carnaio – “sono venuto a vedere se è folle come dicono o se fa solo finta di…”.

“Cavalcami, abba matto; cavalcami, abba matto!”.

Una bellezza discinta ritornata bambina attraversa di corsa la sala, portando sulle spalle una figura magra magra tutta sorriso e agitarsi di mani. Il volto attonito del nobiluomo accanto a noi si scolpisce dei tratti inequivocabili di una certezza acquisita, ma… SCIAFF! Un ceffone inatteso conferisce a quei tratti un assetto decisamente cubista. L’omuncolo tutto sorriso inizia a trottolargli attorno portandosi dietro lembi delle sue morbide vesti e gridandogli: “Su gioca, sciocco, non c’è nessun inganno”. Mezzo nudo e con l’aria di chi ha appena sbattuto con forza contro una porta a vetri, quello se ne incespica via sospinto da mareggiate di risa sguaiate.

“Quanto a voi, stupidi, la risposta alla vostra domanda è: un’opportunità. Purché non si prenda troppo sul serio!”. E si abbandona a una solenne risata.

“Come fai a sapere che siamo qui per chiederti se il progresso scientifico è un’opportunità o una minaccia?”.

“Avete timore perché l’uomo conosce solo trasformazioni repentine, non cambiamenti ma rivoluzioni” – sbraita il monaco saltando sopra un tavolo. Si mette attorno al collo a mo’ di stola una stringa di salsicce e inizia a pontificare come un prete dall’ambone: “Convertitevi, stupidi! Ricordate che c’è un altrove, che dove finisce la vita comincia”.

“Sei proprio pazzo, monaco!” – gli sghignazza contro un panzone ubriaco.

“Ah, sìììì” – ride addentando una salsiccia – “sì” – dice scendendo tra noi, con tono improvvisamente serio – “e non c’è esercizio migliore che fingersi predicatore per chi è folle per Cristo”.

“Quando sei diventato folle, abba Simeone?” – azzarda uno di noi.

“Forse lo sono sempre stato” – sussurra scuotendo energicamente la testa . “Là abitano gli angeli!” – grida facendo un balzo. Poi riprende a bassa voce: “Lo ricordo come fosse ieri. Giovanni, il mio amico, me lo bisbiglia all’orecchio e risuona in noi come un grido di guerra. Avevamo vent’anni e ci gettammo a rotta di collo giù per la via che porta al Giordano, senza dir nulla alla carovana del parentado. Sì, eravamo due folli pieni di gioia quando ci siamo infilati nella porta aperta del primo monastero e abbiamo chiesto a quel santo di abba Nicon di rivestirci dell’abito monastico”.

“E gli angeli li hai visti?”.

“Li ho visti sì… e ho visto anche la rovina. Sono resistito due giorni. Un fuoco mi ardeva dentro e convinsi Giovanni ad andarcene verso l’altrove, nel deserto profondo, dove ogni logica si sfà sotto il martellare del sole. E un bel giorno, trent’anni dopo, ‘Me ne vado a prendermi gioco del mondo’ – gli dico. Lui protesta, piangiamo, ci abbracciamo. Ed eccomi a Emesa, tra mercanti e ben pensanti, straccioni e prostitute”.

“Ma perché l’hai fatto?”.

“Perché?” – sghignazza – “Stupido! Perché? Perché non potevo fare diversamente. La Sapienza che si diverte tra i figli degli uomini (cf. Pr 8,31) mi ha detto ‘gioca’, e io gioco! Giocate, sciocchi, non c’è inganno. La verità è folle se non è follia”.

Afferra un barattolo di senape e vi intinge una salsiccia con precisione d’artista. Corre per la sala dipingendo baffi sui volti delle amiche e baci sulle guance barbute degli uomini. Ripassa rapido vicino a noi e si congeda dicendo: “E vi prego di non disprezzare nessuno, soprattutto se si tratta di poveri e squilibrati: spesso sono il grimaldello di Dio contro la porta sbarrata del mondo”. Se ne va tra le risa della gente, lasciando la porta spalancata sulla notte di Emesa [1].


[1] La "Vita" di Simeone il folle è narrata da Leonzio di Neapolis. Ampi stralci sono pubblicati in italiano in Follia d’amore, Qiqajon 2020.