"Solo chi cerca, trova"
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Gentili passeggeri, stiamo per decollare. Destinazione: Egitto. Non sono previsti scali e il fuso orario è di 1700 anni: allacciate le cinture! Sorvoliamo Alessandria, una delle città più grandi e vivaci dell’epoca, vediamo strisciare sotto di noi quel lungo cobra che chiamano Nilo e raggiungiamo un punto da cui ovunque si guardi non si vede altro che la rugosa pelle d’elefante del deserto orientale, là dove tutto è scarso persino la sabbia. Tre, due, uno: pronti al lancio! Il paracadute ci culla pian piano e ci consegna tra le braccia ruvide di un monte anonimo. Ci inerpichiamo fino all’ingresso di una minuscola grotta, un semplice buco nella roccia che ha il solo grande pregio di proteggere dal sole rovente. Non siamo i primi ad arrivare. Seduti a terra, avvolti in stracci scuri, dei personaggi di mezza età fanno arco attorno a un’esile figura altrettanto cenciosa, ma infinitamente più anziana. Avrà quasi 100 anni e alza lo sguardo su di noi dall’alto di quella sua speciale miseria che ispira un tale rispetto. Nessuno parla. Nessun convenevole. Antonio, il padre dei monaci, il primo folle a essersi inoltrato sempre più in profondità nella solitudine del deserto, alla ricerca di una vita che fosse radicalmente secondo il vangelo, attende in silenzio che prendiamo posto di fronte a lui. Nel luogo dove visse i suoi ultimi anni, molto più tardi sorgerà quello che è ancora uno dei monasteri più belli e importanti della chiesa copta. Ora però il vecchio monaco ci fissa senza dire una parola emergendo appena dall’oscurità dell’angusta caverna alle sue spalle.
È il nostro momento. Aspetta la nostra domanda. Perché mai avremmo fatto tanta strada se non per ricevere da lui una perla di saggezza? Allora, vai con la domanda! Silenzio. Una goccia preziosa di umidità piange sorda dalla roccia in un orcio di terracotta. Eh dai, non siate timidi, chiedete ora che ne avete l’occasione! Quando vi ricapita? Niente. Dopo un lungo tempo imbarazzante, è l’abba a rompere il silenzio. Recita a memoria un breve passo del vangelo. Tace. Poi scruta i volti degli ascoltatori e sussurra: “Che cosa significa?” Diversi dei presenti, provocati da quello sguardo tagliente, vincono il timore e azzardano una risposta. Che sapienza! Ce la sogniamo nel XXI secolo. Persino i più giovani, più giovani di voi, sembrano delle pagine stampate, quasi si fossero mangiati il catechismo a colazione. Eppure, il vecchio non fa che scuotere la testa, dall’inizio alla fine, con un luccichio sinistro negli occhi neri. Ne manca solo uno, più taciturno degli altri, forse semplicemente più impaurito. O più svogliato, chissà. “Giuseppe, per te che cosa significa questo passo?” “Non so” – risponde quello fissando la terra battuta sotto i suoi piedi. Sorpresa! Il volto scavato di Antonio si illumina in un sorriso: “Lui sì che ha trovato la strada, perché ha detto: Non so”.
Il suo sorriso sdentato si allarga nel leggere nei nostri occhi un grande punto interrogativo: “Ma che razza di risposta è? ‘Non so’. Avrei potuto dirlo anch’io. T’immagini la faccia dell’assemblea se il don salisse all’ambone e dicesse: ‘Non so’!”. Fa bene a divertirsi, il saggio Antonio. Noi che non avevamo domande ora siamo a bocca aperta: “Che significa che ‘non so’ è la strada?”. Quel vecchio saggio è riuscito a farci ardere di curiosità, ci ha donato una domanda.
Non aggiunge nessuna spiegazione abba Antonio, ma i suoi occhi prendono per mano i nostri pensieri e ci guidano nella ricerca di una risposta. Badate, non ho detto che ‘non so’ è la soluzione, ma la strada. ‘Non so’ è una grande risposta proprio perché non è definitiva, non annulla le domande, le stimola. Quando i discepoli chiedono a Gesù perché parli in parabole, non ricevono forse questa risposta: “Perché non comprendano” (Mc 4,12)? Cioè, perché arrivino a dire ‘non so’, perché si stupiscano e si interroghino.
Badate – aggiunge quello sguardo ridente ma severo – badate che ‘non so’ è una strada, non un alibi per non muoversi di casa. Dire al vangelo ‘non so’ non dev’essere una scusa per richiuderlo facendo orecchie da mercante, fingendo di non aver capito a che cosa ci stia chiamando. Per il giovane Antonio ventenne dire ‘non so’ a quel vangelo che gli diceva “Va’, vendi tutto e seguimi” (Mt 19,21) aveva significato lasciare tutto e partire per il deserto. Sì, cari amici, perché il vangelo lo si comprende solo vivendolo; il vangelo chiede di essere prima obbedito, poi capito.
Badate, giovani amici – concludono quegli occhi in cui ormai l’universo si specchia –, badate di non credere che il ‘non so’ sia la strada solo per le Scritture. Lo stesso atteggiamento di curiosità e rispetto è l’unica via per raggiungere il mistero inviolabile di ogni creatura. E dalla sua bocca ridente escono strascicate ma decise queste parole di congedo: “Ora che i miei occhi stanchi non riescono più a leggere, il mio libro è la realtà profonda delle creature ed esso è a mia disposizione quando voglio leggere le parole di Dio”.
Eccoci al termine della prima tappa del nostro viaggio. Speriamo che Antonio vi abbia dato un po’ di coraggio e che non abbiate timore a condividere le domande che vi abitano, a inviarcele perché ci conducano ad altri viaggi e a nuovi incontri.