DANIELA KALKANDJIEVA
Daniela Kalkandjieva, dopo gli studi alla facoltà di storia all’Università St Kliment Ohridiski a Sofia, ha conseguito un PhD in storia presso la Central European University in Ungheria con una tesi sugli aspetti ecclesiastico-politici dell’attività del patriarcato di Mosca. Oltre che di storia della chiesa in Russia, nel corso delle sue ricerche si è occupata della chiesa bulgara interessandosi in particolare del rapporto tra religione e sfera pubblica, di dialogo interconfessionale, dell’impatto dell’ortodossia sul processo di integrazione in Europa. Tra le sue molte pubblicazioni ricordiamo The Russian Orthodox Church, 1917-1948 From Decline to Resurrection, London 2015 e lo studio sulla chiesa ortodossa bulgara negli anni 1944-1953 (Balgarskata pravoslavna tsarkva i darzhavata, 1944-1953, Sofia 1997).
Martiri e confessori nella Chiesa ortodossa bulgara sotto il regime comunista
La caduta del comunismo in Bulgaria nel 1989 ha rotto il silenzio sulla persecuzione del clero ortodosso durante il governo dell’ateismo militante. Ventisette anni più tardi la loro canonizzazione è ancora una questione aperta. Nessuno di essi è stato riconosciuto canonicamente martire o confessore e nel calendario ecclesiastico non è prevista una commemorazione di quei servi di Dio che hanno testimoniato la loro fede fino al martirio. Nel frattempo gli archivi del partito comunista bulgaro e dei suoi servizi segreti sono stati resi pubblici. Il loro studio ha gettato nuova luce sul destino di centinaia di chierici ortodossi che sono rimasti saldi nella loro fede nonostante l’asprezza della persecuzione e le torture disumane. La presente relazione esaminerà le vicende di vescovi, preti e monaci della chiesa ortodossa bulgara, che ci offrono motivi fondati per essere considerati martiri e confessori. Allo stesso tempo vogliamo porre la seguente domanda: se “il sangue dei martiri è seme di cristiani” (Tertulliano), perché la chiesa ortodossa bulgara rinvia la canonizzazione di quei cristiani il cui martirio può contribuire alla rivitalizzazione del cristianesimo nella società bulgara post-ateistica? Non è facile rispondere a questa domanda. La persecuzione non è stata garanzia di santità nei primi secoli del cristianesimo e non lo è neppure sotto il comunismo. Nel caso bulgaro, comunque, questo rapporto è stato ulteriormente complicato dalla specifica politica antireligiosa adottata dai comunisti all’epoca della loro conquista del potere il 9 settembre 1944. Essi non hanno seguito il modello dei bolscevichi che attaccarono apertamente la religione, adottando una strategia più sofisticata. Non hanno previsto una distruzione immediata della chiesa nazionale ortodossa, ma la sua trasformazione in istituzione pseudo-religiosa. Inoltre, i nuovi governanti comunisti hanno usato abilmente lo stato di guerra per sbarazzarsi dei chierici più zelanti e influenti con il pretesto di combattere il fascismo. Queste e altre particolarità della persecuzione dei monaci e del clero uxorato in Bulgaria non consentono di seguire rigidamente l’esperienza russa nella canonizzazione degli uomini di chiesa ortodossi assassinati dai bolscevichi negli anni ’20 e ’30 del xx secolo. Ciò non significa che non vi siano stati martiri e confessori ortodossi bulgari, ma invita a un approccio diverso, in grado di aggirare il discorso comunista che continua a distorcere la verità riguardo ai chierici ortodossi presentandoli come “fascisti”, “nemici del popolo” o semplicemente come criminali.