La pelle delle chiese che fa riflettere sugli spazi comunitari

Corriere della sera, 4 giugno 2016
di LUCA MOLINARI

Nella memoria dei luoghi che incontriamo soprattutto nel nostro vecchio continente, la presenza della cattedrale indica con chiarezza il centro di una città, una grande piazza e il cuore della sua comunità.

Da sempre i luoghi religiosi hanno una relazione forte con la forma urbana e il territorio che li circonda. Grandi monasteri erano localizzati di fianco alle principali porte urbane come terminale conclusivo di una rete di centri minori che portavano beni e persone verso il mercato principale. Il Duomo con la sua sagoma imponente segnava il cuore della città da grandi distanze, mentre in piena Controriforma nuove chiese erano realizzate lungo la linea delle Alpi a sentinella di una linea invisibile che separava dai territori riformati.

La forma esteriore, i volumi e i linguaggi che hanno contrassegnato le chiese lungo duemila anni di storia occidentale sono uno dei grandi patrimoni riconoscibili e condivisi della nostra memoria ed è interessante che in questi giorni presso il Monastero di Bose sia in corso un grande convengo intitolato «Viste da fuori. L'esterno delle chiese».

La questione della «pelle» degli edifici religiosi assume oggi un significato ancora più delicato, perché da una parte mette in relazione questa tipologia così consolidata con un paesaggio metropolitano sempre più multiforme e confuso e dall'altra si confronta con il ruolo che un edificio comunitario può avere nella contemporaneità. Il secolo appena passato è stato un laboratorio straordinario di ricerca sulla forma dell'architettura religiosa che ha vissuto estremi interessanti tra il ritorno al silenzio del romanico ripensato dell'olandese Schwartz e il minimalismo di John Pawson, alla realizzazione di vere cattedrali moderne in cemento armato come è stato nel lavoro di Auguste Perret e Michelucci, fino al tentativo di creare luoghi di preghiera e raccolta più simili a veri e propri centri civici soprattutto nei Paesi del Nord Europa con le ricerche di Lewerentz e Aldo Van Eyck.

In queste esperienze così diverse era forte la consapevolezza di una responsabilità verso il paesaggio contemporaneo e del bisogno di segnare diversamente la presenza della Chiesa e il suo ruolo di evangelizzazione.

Dopo il Consiglio Vaticano Secondo che marcò ulteriormente l'evoluzione del ruolo fisico e simbolico della chiesa e un ventennio di concorsi promossi per la realizzazione di nuove chiese nei nostri territori, credo sia importante fermarsi e riflettere su che cosa chiedere alla forma delle chiese di questo nuovo millennio.

La chiesa può essere ancora oggi uno di quei luoghi in cui riflettere sulla natura degli spazi comunitari, sul loro essere casa aperta di tutti in un tempo segnato da separazioni e pericolose linee di confine. La riconoscibilità urbana della chiesa e dei suoi spazi possono trasformarla in un presidio civile e culturale necessario per ricostruire quell'invisibile catena di cuori pulsanti comunitari che da sempre rappresentano l'anima dei nostri territori.

Foto e sintesi del 4 giugno

XIII Convegno Liturgico Internazionale Bose, 4 5 6 giugno 2015
ARCHITETTURE DELLA LUCE
Arte, spazi, liturgia

Organizzato dal Monastero di Bose 
in collaborazione con l'Ufficio Nazionale per i Beni Culturali
Ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana
Consiglio Nazionale Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori

FOTO E SINTESI DEL 4 GIUGNO

SESSIONE MATTUTINA

La seduta di apertura del XIII Convegno liturgico, dedicato al tema Architetture della luce: arte, spazi, liturgia, è iniziata con la prolusione di fr. Goffredo Boselli, che ha sottolineato l’importanza del tema scelto quale punto d’incontro tra liturgisti e architetti: “In una chiesa non si deve semplicemente vedere la luce, si deve anche ricevere la luce per poter celebrare la luce, che rimane la principale metafora di Dio. Tra le diverse specificità della luce all’interno di una chiesa vi è anche questa: far vedere la luce senza tuttavia esibirla, senza ostentarla. Non c’è edificio umano come una chiesa dove la luce non deve essere consumata, sprecata e dunque persa, appunto per il ruolo eminentemente simbolico che la luce ha. Nello spazio liturgico la luce non deve essere dissipata perché chi abita una chiesa deve essere mosso a una ricerca della luce, al desiderio della luce che nella liturgia si fa invocazione.” Proprio per questo, con un’innovazione rispetto ai precedenti convegni, la sessione mattutina si è svolta nella chiesa monastica di Bose ed ha visto un intervento a due voci, del priore fr. Enzo Bianchi e di Philippe Markiewicz, monaco di Ganagobie, architetto e fondatore della rivista Arts Sacrés, sul ruolo svolto dalla luce in questo edificio, ideato e realizzato a partire dalle esigenze e dall’esperienza stessa della comunità monastica. Fr. Goffredo ha infine presentato gli atti del XII Convegno, Liturgia e cosmo. Fondamenti cosmologici dell’architettura liturgica, e ha ricordato i numerosi messaggi giunti da diverse autorità ecclesiastiche.

La prolusione di fr. Goffredo è stata seguita dalla lettura degli indirizzi d’auguri inviati dal card. Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità (letto da mons. Marco Arnolfo, arcivescovo di Vercelli), dal Patriarca di Costantinopoli Bartholomeos I (letto da † Job di Telmessos, vescovo delle parrocchie russe dell’Europa occidentale dipendenti dal Patriarcato ecumenico), da mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana (letto da mons. Angelo Lameri) e dal card. Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti (letto da Keith Pecklers, professore di liturgia presso la Pontificia Università Gregoriana). Vi è stato quindi il saluto di mons. Stefano Russo, attuale direttore dell’Ufficio Nazione per i Beni Culturali Ecclesiastici della CEI che ha inoltre presentato il direttore nominato allo stesso Ufficio, don Valerio Pennasso che ha a sua volta rivolto un saluto al convegno.

La sessione mattutina è proseguita con gli interventi del priore fr. Enzo, che dopo aver evidenziato a partire dalla propria esperienza l’importanza della luce quale elemento fondamentale dell’architettura liturgica, e ha tracciato un profilo biblico della luce, prima parola di Dio secondo la Genesi e simbolo del Cristo negli scritti giovannei, luce che le tenebre non possono soffocare, per quanto sia tenue e quasi fioca:

“l’architettura, soprattutto l’architettura di una chiesa, deve essere capace di questa diaconia: riuscire nell’operazione, o meglio nella predisposizione architetturale affinché sia possibile che la luce, nella quale “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28), ci riveli chi è la luce del mondo, colui che ha detto: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12). E se “nel Lógos era la vita, la vita luce degli uomini” (cf. Gv 1,4), se “il Lógos è la luce vera, che illumina ogni uomo che viene nel mondo” (cf. Gv 1,9), allora in un’architettura di assemblea cristiana la luce deve sempre tendere a essere simbolica, sacramentale. Questo non significa che la luce debba abbagliare, ma che il suo potere rivelativo deve modularsi in luce, penombra e oscurità, dicendo e non dicendo, mai abbagliando e mai lasciando regnare le tenebre. È significativo lo spazio di qualsiasi chiesa cristiana, nella quale la luce del giorno entra in molteplici modi: in squarci di ogiva, oppure attraverso filtri che la rendono dolce, attraverso vetrate che ne dettano un racconto… E quando scende la sera e lo spazio della chiesa potrebbe essere invaso dalle tenebre, ecco la lampada palpitante, che impedisce alle tenebre di regnare.”

Fr. Enzo ha quindi parlato dell’intreccio di luce naturale e artificiale nell’attuale chiesa monastica di Bose, mostrando come per essa la comunità abbia scelto con decisione una soluzione modesta ma non minimale, in cui la luce naturale, opportunamente filtrata dal gioco delle vetrate e degli spazi pieni, segue e guida la preghiera della comunità, sottolineando il ruolo preponderante dell’allineamento tra portale d’ingresso, ambone e altare, quale proiezione e invito verso l’eschaton. In questo spazio, la luce artificiale si presenta non come contrasto alla luce naturale ma come elemento in grado di operare in sinergia con essa, mettendo al tempo stesso in guardia contro la tentazione di esasperare la lettura simbolica di ogni elemento architettonico. Fr. Enzo ha inoltre richiamato i modelli che hanno ispirato l’architettura della chiesa monastica di Bose, e in particolare l’architettura cistercense – per la trifora che sormonta l’abside quale varco principale per la luce del giorno – e quella certosina, per l’orientamento della chiesa in direzione della stella polare anziché verso oriente:

“Quella di Bose è una chiesa monastica nella quale l’assemblea si sente popolo di Dio pellegrino, esule nel deserto, dunque una chiesa che deve significare l’icona di una carovana in cammino verso il Regno. L’abside è lo spazio di gloria che raccoglie gli sguardi e le preghiere di tutti. Nell’abside la luce penetra dalla trifora, luce unica e capace di alludere alla Triunità di Dio. Sull’assemblea la luce giunge tenue, accogliente, non diretta, e permette l’habitare secum, il raccoglimento, il silenzio adorante, l’assemblea ordinata e composta”.

Philippe Markiewicz ha ripreso queste indicazioni segnalando come, grazie al suo orientamento e alle aperture presenti, nel corso della giornata la luce solare compia un giro da un capo all’altro del coro della chiesa monastica di Bose, per illuminare, alla metà del giorno, l’ambone, luogo della Parola; ha quindi evidenziato il ruolo della luce nell’architettura sacra delle tradizioni orientale e occidentale, riferendosi tanto alla prospettiva storica, ai tempi in cui l’unica fonte disponibile oltre al sole era costituita dalle lampade ad olio e dalle candele, tanto all’epoca contemporanea in cui non sono pochi i casi in cui la disponibilità dell’illuminazione elettronica conduce a scelte dall’esito poco felice. La ricchezza dei contributi ha stimolato un dibattito vivace e interessante, in cui si è sottolineato come, tra le varie modalità di luce, non bisogni dimenticare accanto a quella naturale e a quella artificiale quella costituita dalle icone e, più in generale, dall’uso artistico dell’oro molto comune nell’età barocca.

La sessione mattutina si è conclusa con la relazione di Albert Gerhards, , che a partire da testi della tradizione patristica (l’innografia ambrosiana e il canto bizantino del lucernario, Phos ilaron) ha analizzato il ruolo e il significato della luce per la teologia e l’antropologia cristiana, ponendo a confronto questi dati con l’architettura liturgica contemporanea, a partire dall’apporto – empirico e teorico – di Rudolf Schwarz e altri grandi architetti: chi progetta e costruisce chiese non deve vederle solo come luoghi destinati ad una funzione, ma come spazi capaci di rendere e creare un’atmosfera, e non a caso “molti architetti non associano più alla costruzione di chiese la ricerca della funzionalità, ma dell’atmosfera”, come dimostra ad esempio la Bruder-Klaus-Kapelle di Peter Zumthor.

SESSIONE POMERIDIANA

La sessione pomeridiana si è svolta, come d’abitudine, nella sala conferenze del monastero. Nel primo intervento della sessione, Jean-Pierre Sonnet, docente di Antico Testamento alla Pontificia Università Gregoriana, ha fornito un’esposizione ampia e avvincente della visione biblica della luce, cominciando dal racconto della creazione in Genesi 1:

“La luce del primo giorno precede la creazione degli astri, e in particolare del sole, che avviene solo al quarto giorno (Gen 1,14-19). La luce del primo giorno non è pertanto mediata da altre creature, siano esse il sole o la luna: ha la sua origine in Dio, ed è la premessa alla manifestazione di tutte le creature”.

Ma Dio è anche colui che fa brillare la sua luce nei momenti oscuri della storia, come nell’esodo di Israele dall’Egitto: al passaggio del Mar Rosso, si ritrovano gli elementi primordiali della creazione, e tra essi la luce (Es 13,21-22). Ma la luce è centrale anche nella vicenda di Gesù secondo i racconti evangelici, e in particolare alla Trasfigurazione e alla Resurrezione; e nell’Antico come nel Nuovo Testamento, la luce è anche promessa escatologica, segno del tempo in cui non splenderanno più il sole né la luna, perché lampada della città sarà l’Agnello (cf. Ap 22,4-5). Senza dimenticare che anche nell’oscurità in cui la fede sembra in declino e l’iniquità dilagante, una lampada continua a risplendere (cf. 1Sam 3,3).

Angelo Lameri, professore di liturgia e sacramentaria generale presso la Pontificia Università Lateranense, ha affrontato il tema della luce in riferimento alla liturgia, e in particolare al ruolo del cero pasquale e del preconio nella liturgia della veglia pasquale: la luce vi compare insieme ad altri elementi primari come l’acqua, che se rimandano al racconto della creazione rappresentano anche elementi necessari per la vita e lo sviluppo dell’umanità, ma che la liturgia cristiana ha saputo interpretare anche alla luce della nuova creazione avvenuta nella Passione e Resurrezione di Gesù Cristo.

Infine Andrea Dall’Asta, direttore della Galleria San Fedele presso l’omonimo centro dei gesuiti a Milano, ha esposto una relazione sulla luce nell’arte cristiana, e in particolare nell’architettura, corredata da un ampio repertorio fotografico che ha permesso al pubblico di seguire un percorso che ha spaziato dai forti chiaroscuri romanici, in cui la poca luce filtrata dalle piccole monofore, bifore o trifore risaltava in un ambiente immerso nell’oscurità, alle grandi vetrate gotiche, dalla luce dorata delle icone e dei mosaici bizantini, rimando alla realtà trasfigurata, alla luce naturale del Rinascimento, concepita in termini prettamente matematici e fisici e volta ad esaltare l’unitarietà delle costruzioni più che singole parti al loro interno, per giungere attraverso gli effetti drammatici e scenografici dell’età barocca e alle scoperte degli impressionisti all’architettura ecclesiastica contemporanea, rappresentata da esempi come Notre Dame du Haut a Ronchamp, di Le Corbusier, e la suggestiva chiesa della luce a Ibaraki di Tadao Ando. A questi contributi è seguito un dibattito con ampi interventi sulle nuove possibilità di sfruttare e usare la luce in contesti liturgici, e sul rapporto non sempre facile tra architetti e committenti.

Foto e sintesi del 5 giugno

XIII Convegno Liturgico Internazionale Bose, 4 5 6 giugno 2015
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FOTO E SINTESI DEL 5 GIUGNO

La seconda giornata del convegno si è aperta con l’intervento di Paolo Tomatis, docente alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, il quale ha proposto una riflessione sull’esperienza della luce nella liturgia, traendo ispirazione dal versetto 10 del salmo 36: “Nella tua luce vediamo la luce”. Tomatis ha evidenziato il duplice ruolo che gioca la luce nella liturgia: essa “fa vedere” e, insieme, “si fa vedere”. Il medium tra queste due prospettive è l’atto del vedere del credente. E una sapienza architettonica ha di mira proprio questo: iniziare l’occhio del credente a vedere ogni cosa alla luce di Dio.

È seguita la relazione di Sigurd Bergmann, docente presso l’Università norvegese di Scienza e Tecnologia di Trondheim, dal titolo “Luce nordica e architettura sacra: uno sguardo attraverso la lente teologica”. Analizzando diversi edifici sacri del nord Europa, Bergmann ha suggerito l’idea che l’architettura debba celebrare il dono della vita come dono di luce, in contrasto con l’oscurità, il potere e le ombre che sembrano caratterizzare la quotidianità nella latitudine nordica.

La sessione mattutina si è chiusa con una panoramica sulle esperienze e sui progetti di illuminazione, offerta dall’architetto Donatella Forconi. Attraverso lo studio di vari esempi di chiese e cattedrali, ha fornito spunti di riflessione metodologici sulla progettazione dell’illuminazione dei luoghi liturgici.

Nel pomeriggio sono intervenuti l’architetto Martin Struck, che ha illustrato attraverso le immagini alcune nuove soluzioni architettoniche della luce in contesti storici e geografici diversi; il liturgista Joaquim A. Félix de Carvalho, con un’esposizione sulla cappella Árvore da Vida, del seminario di Braga, interpretata come metafora dell’eternità. Infine Kim En Joong, artista di origini coreane e ora residente a Parigi, e Denis Coutagne, storico dell’arte, hanno discusso dell’arte della vetrata come veicolo della Luce.

La serata è proseguita poi, dopo cena, nella chiesa romanica di san Secondo, che per l’occasione è stata “rivestita” della luce di decine di candele. Maddalena Crippa, attrice di prosa nota in campo internazionale, ha recitato brani tratti da opere dei padri della chiesa, della tradizione mistica ebraica, testi poetici e testi di grandi architetti. Suggestivi gli intermezzi musicali di Fabio Mina, che si è cimentato con strumenti di varie etnie, tra cui il duduk e il khaen. La lettura di un frammento tratto dalle poesie di Fernando Pessoa ha concluso la serata dedicata al “suono della luce”.

Foto e sintesi del 6 giugno

XIII Convegno Liturgico Internazionale Bose, 4 5 6 giugno 2015
ARCHITETTURE DELLA LUCE
Arte, spazi, liturgia

Organizzato dal Monastero di Bose 
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FOTO E SINTESI DEL 6 GIUGNO

La terza e ultima giornata si è aperta con l’analisi del ruolo svolto dalla luce in una chiesa contemporanea: Santa Maria a Marco de Canaveses, opera dell’architetto Álvaro Siza che, costretto ad assentarsi, è stato sostituito da Nuno Higino, professore di filosofia e sociologia all’università “Fernando Pessoa” di Porto, parroco della chiesa di Santa Maria fino al 2001. Dopo una presentazione dell’opera e del pensiero di Siza da parte di Giovanni Gazzaneo, direttore di Luoghi dell’infinito, Higino ha parlato della chiesa aiutandosi con un ampio repertorio fotografico.

In questa opera monumentale, al tempo stesso tradizionale – Higino ha riferito in particolare che Siza, distanziandosi da altre chiese progettate e costruite negli stessi anni in Portogallo, ha fortemente voluto una chiesa “che sembrasse una chiesa” – e innovativa in alcune sue soluzioni, Siza ha cercato di rendere in forma architettonica lo spirito del concilio Vaticano II, attuando ad esempio un’apertura laterale verso la strada, simbolo dell’apertura della Chiesa al mondo, al cui servizio essa si pone. I molti spunti di questa relazione sono stati raccolti dal dibattito, che ha visto molti interventi dal pubblico.

Nella seconda metà della mattinata, preceduta da un breve saluto del priore fr. Enzo che ha espresso la gioia della comunità per questa presenza, vi è stata la relazione dell’architetto Santiago Calatrava Valls, anch’essa accompagnata da una presentazione a base di immagini diverse: schizzi, bozzetti, progetti vari dell’architetto che, dopo aver ripercorso alcuni punti salienti della sua carriera, a partire dal progetto non realizzato di una chiesa dedicata a Junipero Serra, evangelizzatore della California, da costruire a Los Angeles, è giunto sino ai suoi ultimi progetti, ancora in corso di realizzazione: il World Trade Center Transportation Hub e la nuova St Nicholas Greek Orthodox Church, unico edificio di culto che verrà costruito a Ground Zero (dove esisteva una chiesa ortodossa omonima, distrutta l’11 settembre 2001): un edificio che, pur mantenendo una netta connotazione ortodossa, per molti versi tradizionale, entra in dialogo con l’ambiente circostante e si offre, nel suo nartece da cui è volutamente assente qualsiasi segno confessionale, come luogo di riconciliazione della memoria.

Questa ricca e interessante relazione, durante la quale Calatrava ha anche disegnato uno schizzo della sua idea per la chiesa dedicata Junipero Serra, ha suscitato un vivo interesse nel pubblico, le cui domande hanno permesso a Calatrava di precisare le idee alla base di questa sua opera tanto in termini teorici quanto sotto alcuni aspetti pratici che, proprio alla luce degli attentati dell’11 settembre, sono ormai ineludibili.