Un ecumenismo del cuore: uno sguardo dalla XI Assemblea del CEC a Karlsruhe

Dal 31 agosto all’ 8 scorso si è svolta a Karlsruhe l’XI Assemblea generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Ad essa ha partecipato anche fr Guido, nella duplice veste di Osservatore invitato a nome della Comunità monastica di Bose e di membro cattolico del Pellegrinaggio di Giustizia e Pace. Successivamente, in occasione del Convegno nazionale dei Delegati per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso svoltosi a Camaldoli dal 7 al 9 ottobre, la rev. Susan Durber – ministro ordinato della United Reformed Church in the UK, moderatrice di Fede e Costituzione ed eletta proprio a Karlsruhe come Presidente del CEC per l’Europa – ha tenuto per i partecipanti una riflessione sull’Assemblea di Karlsruhe.

Grati al Signore per l’amicizia che ci lega a Susan Durber e riconoscenti per la sua autorizzazione, pubblichiamo una nostra traduzione del testo.


La recente Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC), tenutasi a Karlsruhe, in Germania, aveva per titolo: “L'amore di Cristo muove il mondo verso la riconciliazione e l'unità”.

Ci siamo riuniti in un frangente di "crisi mondiale", come ha sottolineato l'arcivescovo di Canterbury Justin Welby in una delle sessioni plenarie. Da quattro anni c'è siccità in Africa orientale. Il cambiamento climatico ha da tempo un impatto sulle popolazioni più povere del mondo, ma ora tutto il mondo si sta destando a questa sfida. Ci sono guerre in molti luoghi e ora in Ucraina, una guerra in Europa, in cui cristiani combattono di nuovo contro cristiani. Molte persone sono costrette a migrare a causa della povertà, della guerra o dei cambiamenti climatici. Una pandemia globale ha scosso le nostre vite e ci ha fatto rivalutare il nostro senso di interdipendenza. L'arcivescovo Desmond Tutu alla V Conferenza Mondiale di Fede e Costituzione a Santiago di Compostela nel 1993 disse che nell'era dell'apartheid, l'apartheid era troppo forte per una chiesa divisa. E oggi potremmo dire che le sfide che dobbiamo affrontare sono troppo forti se siamo divisi.

All'Assemblea c'era una forte consapevolezza dei bisogni e delle sfide del mondo intero e un forte ed evidente desiderio di affrontarle. Non puoi incontrare persone provenienti dalle isole del Pacifico e pregare con loro ignorando la velocità con cui gli oceani si stanno alzando. Non puoi discutere con chi proviene dai paesi africani senza capire quanto sia difficile in alcuni luoghi persino sopravvivere, perché i sistemi economici mondiali sono da sempre così sbilanciati a favore dei ricchi. Non puoi parlare onestamente con gli europei senza percepire quanto sia fragile la pace assicurata nel dopoguerra e quanto alcuni si sentano minacciati dall'arrivo dei migranti. Non puoi incontrare le popolazioni indigene di tutto il mondo o le persone delle chiese nere negli Stati Uniti senza affrontare l'impatto del colonialismo e del razzismo. Ma non si possono nemmeno fare queste esperienze con persone provenienti da tutto il mondo (cristiani ortodossi, luterani, pentecostali, anglicani e cattolici) senza vedere con chiarezza quanto sia meravigliosa la Chiesa di Gesù Cristo in tutta la sua ricca diversità e con la sua forte vocazione all'unità e alla comunione.

Un incontro così diversificato e con persone che esprimono una reale volontà di stare insieme testimonia il dono e la speranza della riconciliazione e dell'unità. Cantare la musica dell'altro, ascoltare e interpretare la Bibbia insieme, fare la fila per pranzare insieme e pregare l'uno con l'altro, costruire amicizie e mutua comprensione significa riscoprire la comunione costituita dal corpo radioso di Cristo. E scoprire che abbiamo bisogno gli uni delle altre, dei loro doni, della loro conoscenza e della loro saggezza e che possiamo amarci anche al di là delle differenze più ostiche. Il CEC al suo meglio può fornire un luogo sicuro, un ponte per costruire la riconciliazione. In quale altro posto al mondo avresti potuto trovare persone provenienti dall'Ucraina e dalla Russia (quale dono di grazia condividere lo stesso spazio…), cristiani provenienti da chiese ortodosse orientali e da comunità protestanti occidentali radicali, persone anziane che ricordano il 1948, anno di fondazione del CEC, e giovani stewards che scoprono per la prima volta la Chiesa diffusa in tutto il mondo, tutti insieme per nove giorni?

A Karlsruhe è stato bello sperimentare e sentire l'impegno, la passione e la dedizione all'ecumenismo presenti in tante persone. Sebbene sia espresso e vissuto in modo diverso, all'Assemblea non si è avuta la sensazione che l'ecumenismo sia, o rischi di essere, in declino.
Ma come tutto questo può andare oltre un'assemblea di 4.000 persone che si riunisce poco più di una volta al decennio? Come possono incontri come questo avere un impatto duraturo e diffuso? Mi chiedo come si possa trovare l'unità nel luogo in cui ci si trova, tra le comunità e la gente cui si appartiene, e cosa potrebbe permettere di approfondire questa unità.

In un periodo in cui ci sono nuove e impegnative divisioni tra i cristiani, è stato bello sperimentare i molti modi in cui stiamo trovando una comunione più profonda. È stato davvero commovente sentire il Vescovo Brian Farrell, ad esempio, affermare che, sebbene la Chiesa cattolica romana non sia un membro a pieno titolo del CEC, il rapporto si è ormai trasformato in qualcosa che potrebbe definirsi una "partnership". E il Segretario Generale ad interim del CEC, P. Ioan Sauca, ha affermato che la Chiesa cattolica romana è più attivamente impegnata nel lavoro e nella collaborazione con il CEC rispetto a molte delle chiese che ne sono membri ufficiali. È sempre bene ricordare che, ad esempio, ci sono cattolici romani tra i membri a pieno titolo della Commissione Fede e Costituzione e quanto contribuiscono in modo significativo al lavoro teologico del CEC. Noi apparteniamo gli uni agli altri.

È evidente che le persone trovano modi diversi per approfondire la comunione. Per alcuni dei presenti a Karlsruhe l'ecumenismo è prima di tutto quello che potremmo definire un ecumenismo delle mani, un ecumenismo che si rende evidente e reale nel servizio condiviso a un mondo pieno di bisogni, che è prima di tutto diaconale, che afferma come, qualunque siano le nostre differenze, possiamo servire insieme il popolo di Dio in un mondo bisognoso. Abbiamo ascoltato, ad esempio, i modi in cui i cristiani in Italia stanno lavorando insieme per essere al fianco dei sopravvissuti ai naufragi al largo delle vostre coste o di coloro che sono arrivati a Lampedusa senza nulla in mano. Abbiamo sentito parlare dei modi in cui i cristiani di tutto il mondo agiscono insieme attraverso organizzazioni come Christian Aid e Brot fur die Welt, per portare aiuti umanitari a chi si trova in Ucraina o in Africa orientale, o dovunque ce ne sia bisogno. Un ecumenismo delle mani. Molti hanno sperimentato e si sono impegnati in questo tipo di ecumenismo.

Ci sono altri per i quali l'ecumenismo deve essere prima di tutto un ecumenismo dello spirito. In un momento saliente dell'Assemblea, abbiamo ascoltato un discorso molto semplice del Priore di Taizé, fr. Alois, che ha suggerito che l'ecumenismo può iniziare nella preghiera comune condivisa; nell'ascolto della parola di Dio nelle Scritture, nel trascorrere del tempo in silenzio insieme e nel pregare per il mondo. Oggi ci sono molte voci nelle chiese che si uniscono a lui nel dire che trovano l'unità migliore nella spiritualità e nella preghiera, nello spazio "intermedio" tra dottrina e pratica. Stiamo imparando a pregare insieme e da questa comunione nasce il desiderio di trovare una via per un'unità più profonda.

C'è anche chi è felice di lavorare in un ecumenismo riflessivo, un ecumenismo che si confronta con la fede che condividiamo e con la nostra comprensione di ciò che significa essere Chiesa. Nel 2013 la Commissione Fede e Costituzione ha pubblicato un documento intitolato “La Chiesa: Verso una visione comune”. Le risposte delle chiese a quel testo evidenziano positivamente che ora l’accordo prevale sul disaccordo in molti aspetti della fede apostolica, della nostra comprensione dei sacramenti e nell'imperativo di mettersi a servizio del popolo di Dio nel mondo. C'è un impegno condiviso e profondo verso l'obiettivo dell'unità visibile e una rinnovata attenzione al significato dell'intero popolo di Dio, a tutti i battezzati (non solo ai ministri ordinati). C'è una crescente convergenza sulla necessità di tenere insieme il locale e l'universale nel pensare alla Chiesa, insieme alla passione evangelica per la proclamazione del Vangelo e la condivisione della missione di Dio nel mondo. Il vescovo Brian Farrell del Dicastero vaticano per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e l'arcivescovo Job del Patriarcato Ecumenico hanno entrambi affermato davanti all'intera Assemblea di Karlsruhe che questo lavoro di Fede e Costituzione sulla Chiesa è estremamente significativo, perché ha rivelato quanto abbiamo in comune nell'esprimere la nostra fede. Un ecumenismo della mente e un lavoro comune sull'accordo dottrinale sono ancora parte vitale della nostra ricerca dell'unità, anche se non sono l'unico modo o non sono sufficienti da soli.

C'è anche chi invoca quello che potremmo definire un ecumenismo dei piedi. Dall'Assemblea precedente a questa, a Busan, il CEC ha intrapreso quello che abbiamo definito un “Pellegrinaggio di giustizia e pace” e ha scoperto che è fondamentale camminare insieme nel viaggio della vita. Siamo abituati, in molti incontri ecumenici, a sederci attorno a un tavolo per dialogare e discutere. Spesso ci incontriamo nelle nostre chiese per pregare insieme, non da ultimo nella Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Ci siamo abituati a lavorare insieme per rispondere ai bisogni del mondo. Ma abbiamo anche bisogno di prenderci del tempo semplicemente per camminare gli uni con le altre e per stare accanto agli altri, al cuore della vita, per costruire relazioni reciproche. Il pellegrinaggio ha segnato uno sviluppo importante all'interno del movimento ecumenico: piccoli gruppi di "pellegrini" hanno visitato le chiese locali in ogni continente, semplicemente per incontrare i cristiani del luogo, per celebrare le gioie e i doni delle nostre vite, per condividere le ferite di cui soffriamo e per gioire dei modi in cui l'ingiustizia viene trasformata. È un modo di fare ecumenismo che ci porta fuori dalla sala conferenze, dalla chiesa e dal centro sociale e ci permette di camminare semplicemente fianco a fianco, ascoltandoci prima di tutto l'un l'altra al cuore delle nostre vite. Ed è anche una modalità che può celebrare la comunione che possiamo già trovare, piuttosto che desiderare l'unità che ancora non vediamo pienamente. È un modo dinamico, in movimento, in cammino.

All'Assemblea è emerso chiaramente che stiamo approfondendo la comunione in tutti questi modi. Non sono alternativi l'uno all'altro: non dobbiamo sceglierne uno. Alcune persone sono naturalmente più dotate nell’uno piuttosto che nell'altro. Ogni persona, o forse una comunità o una tradizione, può essere più attratta da un modo particolare. Ma abbiamo bisogno di tutti. Nel servizio comune al mondo, nel culto comune, nella ricerca di modi per esprimere una fede comune e nella condivisione della vita comune, stiamo rispondendo alla preghiera di Cristo di essere pienamente uno.

Ma dall'Assemblea è emerso anche un appello per qualcosa di più: un ecumenismo del cuore. Questo è il dono che può tenere insieme tutti questi modi diversi, ed è quello che li sostiene tutti. Nella sua prima lettera ai Corinzi, San Paolo scrive delle diverse parti del corpo che hanno bisogno l'una dell'altra e sono tutte da onorare, anche quelle più deboli. Ma poi dice che ci mostrerà la via migliore di tutte, quella dell'amore. In 1 Corinzi 13 scrive in modo meraviglioso del mistero dell'amore. E l'Assemblea, nella sua dichiarazione sull'unità (tutte le assemblee hanno una dichiarazione di questo tipo), ci ha esortato a un ecumenismo ispirato dall'amore di Cristo. San Paolo rassicurò i cristiani di Roma che nulla avrebbe mai potuto separarli dall'amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore: un versetto che ci colpisce fortemente in tempi come i nostri. I primi cristiani erano noti per il loro grande amore e per il loro coraggio nel prendersi cura dei malati e dei morenti, e il loro amore può ispirare anche noi ad amare, a vivere come coloro che sanno di essere amati da Dio e che hanno amore gli uni per gli altri. Immaginate se a ogni cristiano venisse chiesto di fare la promessa che fa ogni ministro della Chiesa cui appartengo, la Chiesa Riformata Unita del Regno Unito: “nutrire amore verso tutte le altre Chiese”? È in risposta all'amore sperimentato in Cristo, attraverso lo Spirito santo, che ora siamo spinti ad amarci l'un l'altro e quindi a desiderare insieme la giustizia, la riconciliazione e l'unità.

Ci sono certamente sfide profonde alla nostra unità in questi tempi. Ci sono ancora domande sui limiti della diversità all'interno della chiesa, la necessità di alcuni criteri comuni per il discernimento, in particolare per quanto riguarda le questioni etiche, così come la percezione di alcuni che l'evangelizzazione sia ora, in un periodo di radicale declino della chiesa in Europa, più urgente di qualsiasi ricerca di unità. Ma possiamo aprire i nostri cuori in modo che l'amore di Cristo possa infondere nuova vita nella ricerca di una piena comunione visibile? La qualità delle relazioni tra di noi è ciò che potrebbe ispirare il nostro lavoro comune verso quella piena comunione visibile per cui Cristo ha pregato. L'unità nella fede apostolica, nella vita sacramentale, nel ministero e nel lavoro di condivisione dell'azione comune hanno bisogno della testa, delle mani e dei piedi, di tutti noi, per essere pienamente impegnati (1 Cor 12). Ma tutto questo è stimolato dall'amore di Cristo (1 Cor 13), che muove i nostri cuori attraverso lo Spirito Santo. Questo amore non è né astratto né sentimentale, ma si manifesta nel visibile e nel concreto ed è in grado di dare una risposta forte ai mali e alle ingiustizie più profonde del nostro tempo. Come afferma una frase esplicita della dichiarazione sull’unità: “Abbiamo imparato l'uno dall'altro che l'amore che in privato è tenerezza in pubblico è giustizia".

Un altro momento saliente dell'Assemblea è stato il saluto della professoressa Azza Karam, una credente musulmana, Segretario Generale di Religions for Peace. La professoressa ha catturato l'attenzione dell'Assemblea quando ci ha sfidato chiedendoci: "L'amore di Cristo era destinato solo alle persone di fede cristiana?". Ci ha detto che, in quanto musulmana, crede che l'amore di Cristo sia destinato anche a lei e che dovremmo riflettere su quanto l'amore di Cristo possa essere diffuso quando lo condividiamo con tutti. Ci ha esortato a non lasciarci usare, come chiese, da nessun establishment politico, ma a essere la coscienza delle nostre nazioni e a lavorare con persone di tutte le fedi per il bene comune. In un'epoca di pluralismo religioso, questo è stato un messaggio profondamente incoraggiante. Lei stessa, da musulmana, ha detto che quando noi cristiani lavoriamo per mostrare e diffondere l'amore di Cristo, lo facciamo al meglio lavorando con persone di tutte le fedi. Il suo discorso è stato accolto da una standing ovation per come ha saputo affermare il ruolo delle Chiese e la forza dell'amore di Cristo, che è l'amore di Dio per tutte le persone.

L'Assemblea ha anche prodotto un messaggio a tutte le Chiese – Una chiamata ad agire insieme – che ribadisce che siamo in pellegrinaggio insieme, un pellegrinaggio che richiede tutti i modi possibili per trovare i doni reciproci che approfondiscono la comunione.

Ecco un passaggio chiave:

“Incontrandoci insieme in Germania, impariamo il costo della guerra e la possibilità della riconciliazione;
Ascoltando insieme la parola di Dio, riconosciamo la nostra vocazione comune;
Dialogando insieme, diventiamo più vicini;
Piangendo insieme, ci apriamo al dolore e alla sofferenza dell'altro;
Lavorando insieme, acconsentiamo all'azione comune;
Celebrando insieme, ci rallegriamo delle gioie e delle speranze dell'altro;
Pregando insieme, scopriamo la ricchezza delle nostre tradizioni e il dolore delle nostre divisioni”.

E un ultimo incoraggiamento è stato espresso in questo modo: “Nella nostra Assemblea abbiamo usato molte parole, ma da queste abbiamo tratto un nuovo proposito ... Mentre riflettiamo sui frutti del nostro lavoro a Karlsruhe, invitiamo tutti a diventare pellegrini insieme. Perché in Cristo, tutte le cose saranno fatte nuove. Il suo amore, che è aperto a tutti – compresi gli ultimi, i piccoli e gli smarriti – ed è offerto a tutti, può muoverci e darci forza in un pellegrinaggio di giustizia, riconciliazione e unità”.

L'Assemblea è stata indubbiamente un dono e una sfida per le chiese, riunendo così tante persone provenienti da Chiese e contesti diversi, cercando di affrontare con onestà i tempi in cui viviamo e celebrando al contempo la grazia del Dio che ci chiama a condividere una missione d'amore, poiché l'amore di Cristo muove il mondo verso la riconciliazione e l'unità.

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