Nove marzo duemilaventi
Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.
Considerato il contesto in cui sorge la fraternità di Cellole, l’agricoltura è una delle principali attività.
L’orto offre ottime verdure di stagione ai monaci e ai loro ospiti ed è spesso occasione di condivisione con vicini e amici. Degna di nota è soprattutto la carciofaia, composta da più di 500 piante di carciofo, per la maggior parte empolese.
L’oliveto, ereditato dal precedente pievano, don Serafino Cantini, conta un centinaio di olivi, più che sufficienti per sopperire al fabbisogno della comunità e per farla sentire partecipe di questo orgoglio toscano.
Tra gli alberi da frutto, per ovvie ragioni climatiche, è il fico a primeggiare. In buona parte, le piante attuali sono figlie, ottenute per talea da uno dei monaci, di un unico, vecchio albero talmente locale da essere conosciuto come “il neruccio di Cellole”.
La grande quantità di fiori, infine, non risponde solo alla ricerca di bellezza che accomuna i monaci e i passanti. La lavanda infatti è utilizzata per produrre i tradizionali sacchetti profumati che donano freschezza agli ambienti e agli indumenti.
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