La giornata dedicata alla riflessione sul sinodo appena concluso, si è aperta con il saluto del priore di Bose, fratel Enzo Bianchi, che ha detto: “Crediamo che nella chiesa ci sono vocazioni diverse, debitrici le une delle altre, per questo noi monaci ospitiamo un confronto sul tema della famiglia”. Quindi ha lasciato la parola a don Basilio Petrà, che ha messo in luce la libertà di parola e la varietà delle posizioni emerse durante i lavori sinodali. In continuità con il Concilio Vaticano II, il sinodo ha letto il matrimonio umano secondo una visione cristocentrica: solo fissando lo sguardo su Cristo, sul suo insegnamento, si comprendono in verità i rapporti umani.
Durante il pomeriggio è stato possibile un confronto a più voci: Basilio Petrà e Enzo Bianchi hanno risposto alle domande poste dai presenti. Una questione verteva su quale spazio sia stato riservato durante il sinodo alla teoria del gender e a chi vive relazioni di omoaffettività (Questo il termine usato da chi ha posto la domanda). La risposta è stata che questo tema si è trattato in maniera estremamente pacata, accogliendo la consapevolezza che la sessualità non è solo natura, ma anche cultura. Al termine del confronto, fratel Enzo ha ricordato che la famiglia è una realtà sempre da evangelizzare e non, come si sente dire di frequente, una realtà che reca già in sé la buona notizia del vangelo di Cristo.
Sintesi della giornata di Chiara Pignocchi
Quale Dio? Sempre più questa domanda risuona oggi nel dialogo tra le religioni, o di fronte all'esperienza del male.
Nel confronto tenuto a Bose domenica 21 giugno, Massimo Cacciari ha mostrato come questo interrogativo sia intrinsecamente legato alla tradizione occidentale, che Massimo Cacciari ha percorso riandando a Platone e Aristotele, attraversando il medioevo, Spinoza, Lutero, Hegel e toccando anche il confronto con l’islam. Quella occidentale è una tradizione che vive di una polemica profonda su Dio e che ne ha concepito immagini contrastanti.
Nella grecità classica affondano le radici di una tensione che permane nei secoli: da una parte Platone, che pensa il divino come l’Uno che sta al di là delle sue manifestazioni sensibili , separato e altro dal mondo. Dall’altra parte Aristotele e il suo concepire Dio come quell’ente sommo che, dal vertice del cosmo, spiega la dinamica insita al divenire di tutti gli altri enti.
Queste due vie aperte nell’antichità e insolute nella loro reciprocità, permeano anche il medioevo, impegnato a spiegare l’esperienza di un Dio esistente e rivelato, ma insieme altro dall’esistente, nascosto e velato: sistole e diastole dell’esperienza religiosa.
Il paradosso dell’incarnazione ripropone questo dialogo e le sue sottili conseguenze: è tutto Dio che prende carne e che diventa compiutamente dispiegato alla comprensione umana, o l’immagine rivelata nel Figlio rimanda ad un’immagine che è mistero eccedente e trinitario?
Quale Dio dunque? La domanda rimane aperta, dischiusa alla ricerca dell’uomo che rischia la parola su Dio.
Sintesi della giornata di Francesca Simeoni