Chiamati da uno sguardo


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30 novembre 2024

Gv 1,35-42a

In quel tempo 35Giovanni stava con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì - che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo - 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» - che significa Pietro.


Il brano evangelico odierno è pieno di occhi, intrecciato di sguardi: sguardi intensi, occhi fissi, visione in profondità, che narrano un discernimento dell’identità di una persona e una rivelazione della sua vocazione. Dentro a questo “fuoco incrociato di sguardi” ha infatti origine la vocazione dei primi due chiamati, di cui uno è Andrea, l’apostolo di cui oggi facciamo memoria. E da chiamato, Andrea si fa immediatamente testimone, annunciatore e “traduttore” di uno sguardo che cambia la vita: “Egli incontrò per primo suo fratello Simone … e lo condusse da Gesù” (vv. 41-42).

Questa memoria liturgica è occasione per ciascuno di noi di riandare, accompagnati dalla trama di questo racconto evangelico, alla propria vocazione, che non è solo una chiamata, ma anche uno sguardo. Lo sguardo, infatti, come la voce, crea un ponte, è comunicazione, è un passaggio, una pasqua. Lo sguardo di Gesù non si limita a constatare ma crea, o meglio, riplasma le vite: potenza dello sguardo che ama e del lasciarsi vedere e amare. Potenza dell’amore che si manifesta nello sguardo. 

Ma anche Gesù, suggerisce questo passo evangelico, per dispiegare la potenza del suo sguardo sulla vita dei discepoli e sulle nostre vite di “chiamati da uno sguardo” – come afferma la nostra regola monastica, “con la vocazione Gesù ti ha guardato, ti ha amato e ti ha chiamato” (Regola di Bose 6) – ha avuto bisogno di essere lui stesso guardato, visto, conosciuto, amato. Anche Gesù ha avuto bisogno di uno sguardo, quello di un amico, di un maestro, di un uomo di Dio, che lo riconoscesse: Giovanni, “fissando lo sguardo su Gesù … disse: ‘Ecco l’agnello di Dio!’” (v. 36).

In quel passaggio che è lo sguardo avviene sempre anche una trasmissione, un lascito, un’eredità: un dono. Per Giovanni questo passaggio diviene un passare il testimone a colui di fronte al quale egli diminuisce, diviene un dare testimonianza a colui che viene dopo di lui e che va seguito da coloro che erano i suoi discepoli. Lo sguardo di Giovanni non carpisce, non possiede, non invidia, ma cede il passo a colui che da lui viene visto, fa spazio a Gesù. Indica ai suoi discepoli colui che è da seguire e indirizza i suoi discepoli alla sequela del Messia. Lo sguardo di Giovanni trova in Gesù il suo punto di approdo, il suo orizzonte ultimo

Lo sguardo di Gesù è anche, per ognuno di noi, memoria dell’amore che ci è stato dato, quando qualcuno ci ha visti facendoci entrare nella sua vita ed entrando lui nella nostra. Come è stato per l’apostolo Andrea: “Gesù si voltò e osservò” Andrea e l’altro discepolo (v. 38). E questo sguardo fondatore diviene vocazione a narrare e manifestare l’amore gli uni agli altri, come dice la nostra regola, “negli sguardi reciproci” (Regola di Bose 14). 

fratel Matteo