Neppure un capello del vostro capo si perderà!


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27 novembre 2024

Lc 21,12-19

In quel tempo mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «12Prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. 13Avrete allora occasione di dare testimonianza. 14Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. 16Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; 17sarete odiati da tutti a causa del mio nome. 18Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 19Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.


Il testo del vangelo di oggi fa parte del “discorso escatologico” che Gesù pronuncia nel tempio di Gerusalemme poco prima del racconto della passione, morte e resurrezione. Leggiamo queste parole nella settimana che ci prepara all’inizio dell’Avvento, il tempo liturgico che più di altri assume in sé la dimensione del futuro, dello sguardo in avanti e dell’attesa di questo futuro. E per noi cristiani significa esercizio a uno sguardo differente sulla realtà e sulla storia, con l’invito, pressante, drammatico, a credere alla presenza del Signore accanto a noi in ogni situazione che possiamo vivere e credere soprattutto alla sua volontà di “non perdere di noi neppure un capello” (cf. Lc 21.18).

Anche nelle parole di oggi possiamo cogliere questa tensione fra la realtà drammatica che Gesù annuncia ai suoi discepoli e la prospettiva futura che si muta in una situazione del tutto diversa.

C’è un contrasto di sguardi, che possiamo cogliere fin dall’inizio del discorso di Gesù, quando mette in guardia dagli scribi che si preoccupano solo dell’apparenza e loda il gesto nascosto di una vedova che da tutto ciò che ha per il tesoro del tempio. E poi invita a non lasciarsi ingannare dai “segni grandi e terribili” che sconvolgono il mondo. C’è una realtà e c’è la possibilità di guardare oltre, di discernere un senso più nascosto ma più vero.

Qui gli sconvolgimenti toccano il discepolo nella sua vita quotidiana, sia nella realtà sociale (essere perseguitati dal potere religioso e politico) sia nella realtà famigliare, che si impregnano di una violenza che non risparmia nemmeno le relazioni più profonde (genitori, fratelli, parenti, amici). 

Eppure di fronte a ciò la parola di Gesù è chiara: non lasciarsi ingannare, mantenere fiducia in lui che non mancherà di essere vicino, addirittura di divenire la nostra parola, abitare la nostra intelligenza e sapienza. La parola di Gesù sprona alla perseveranza, al rimanere senza paura e senza timore anche nelle situazioni più difficili e sofferte, perché la salvezza non verrà meno. 

La parola fine sulle nostre anime, sulla nostra vita, non potrà essere quella dettata da altri che non sia il nostro Signore, che è Altissimo nel cielo ma vede l’umile (cf. Sal 138,6), il povero, l’afflitto, colui che piange, il perseguitato ed è capace di generare una beatitudine segno della pienezza di vita che è il vero “fine”, telos della nostra esistenza. 

Ancora una volta, anche oggi, risuona il paradosso del vangelo della salvezza che sboccia dove umanamente vediamo la sconfitta, la perdita, l’annientamento. Ancora una volta viene ribadita la volontà del nostro Signore che ci vuole bene fino all’ultimo capello del nostro capo. 

In vista del tempo di Avvento ecco allora che queste parole così drammatiche, tragiche, mortifere, che assomigliano a ciò che leggiamo ogni mattina sulle pagine dei nostri quotidiani ci è chiesto di non fermarci all’apparenza, di avere uno sguardo che va più in là, più in profondità, uno sguardo di fede che ci fa cogliere accanto a noi una presenza che non ci abbandona, che ha cura di noi e che ha tutta la forza per salvare le nostre vite. Tutte. 

fratel Marco