Quando anche il Signore pianse
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21 novembre 2024
Lc 19,41-44
In quel tempo Gesù 41quando fu vicino, alla vista della città di Gerusalemme pianse su di essa 42dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. 43Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; 44distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».
Ascoltare questo brano evangelico ha sempre suscitato un profondo turbamento e non solo perché è uno dei due passi in cui gli evangelisti ci dicono che Gesù pianse: Gesù piange al vedere il dolore delle sorelle e degli amici di fronte a Lazzaro morto e piange qui, al vedere che la città – Gerusalemme, pur non menzionata esplicitamente – ha imboccato la via verso la distruzione anziché quella che porta alla pace.
Sappiamo che l’evangelista Luca scrive il suo Vangelo dopo che gli eventi qui profetizzati si sono già realizzati, eppure l’esortazione di cui si fanno voce ha tutta la sua tragica attualità: discernere per scegliere, discernere i tempi della visita del Signore per scegliere la via della pace. Un’attualità che non è mai venuta meno nel corso di questi duemila anni, ma che oggi appare ancor più evidente. E la città alla vista della quale il Signore pianse ha ancora oggi nome Gerusalemme, ma ha anche nome Chiesa e, in prima e ultima istanza, ha nome Umanità.
La città ha nome Gerusalemme. Troppe volte le sue mura hanno conosciuto la distruzione, troppe volte i suoi figli e le sue figlie hanno subìto oltraggi e morte in tutte le terre in cui erano stati dispersi, perché i suoi nemici avevano intrapreso vie mortifere e non di pace, rifiutando di riconoscere che la visita dell’altro da sé era visita di Dio stesso. Ma in tempi più recenti e ora contemporanei, questo discernimento non è forse mancato anche alle autorità di Gerusalemme, che hanno intrapreso vie contrarie alla pace per provocare ad altri quella distruzione e quella morte che li aveva afflitti?
La città ha nome Chiesa. Troppe volte la chiesa e i cristiani non hanno saputo discernere l’irruzione della “cosa nuova” operata dal Signore risorto nel quotidiano della storia e hanno ignorato le vie della pace, arrivando perfino a proclamare giusta l’ingiustizia della guerra. Troppe volte i discepoli del Signore non hanno saputo discernere il suo volto nel volto del povero e hanno così imboccato la via mortifera del misconoscimento da parte del loro Signore: “Via, lontano da me … perché tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me” (Mt 25,41.45).
La città ha nome Umanità. Troppe volte e troppi di noi non abbiamo saputo discernere nell’altra persona una sorella, nel prossimo una vittima dei briganti, nell’altro popolo donne e uomini come noi, desiderosi come noi di una terra, di una casa, di un lavoro, nell’altra etnia persone con la nostra stessa dignità, la dignità propria all’unica razza umana. Troppe volte “coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono” (Mc 10,42), disprezzando gli ultimi e imboccando così vie opposte a quelle della pace.
Ma sappiamo anche che il pianto di Gesù su queste tre “città” non è un rimpianto, non è nostalgia di un futuro perduto e ormai irraggiungibile: è il pianto che richiama Lazzaro alla vita, è il pianto che bagna la sua passione, morte e resurrezione, è il pianto che lava le nostre colpe e toglie il velo ai nostri occhi, rendendoli capaci di discernere i tempi della visita del Signore per imboccare risolutamente la via della pace.
fratel Guido