Il grido di una nuova nascita


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18 novembre 2024

Lc 18,31-43

In quel tempo Gesù 31prese con sé i Dodici e disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme, e si compirà tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell'uomo: 32verrà infatti consegnato ai pagani, verrà deriso e insultato, lo copriranno di sputi 33e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà». 34Ma quelli non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto. 35Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. 36Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. 37Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!». 38Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». 39Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». 40Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: 41«Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». 42E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». 43Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.


C’è un parlare chiaro di Gesù che agli orecchi dei suoi discepoli rimane oscuro, c’è un non vedere di un cieco che diventa esperienza luminosissima. Il vangelo è colmo di paradossi. La sequela di Gesù ha sempre qualcosa che ci disorienta, che svia dall’avvio, che mette in crisi il già noto o ciò che si presume di sapere. È sempre qualcosa di sorprendente, che ha a che fare con un nuovo inizio.

Gesù annuncia un itinerario in salita e i discepoli brancolano nel buio. Annuncia quello che subirà in prima persona: la derisione, la sofferenza, le torture, la morte; seguirà poi la resurrezione… Ma i discepoli non capiscono, sono ottusi, sconcertati, stupiti, impauriti, sgomenti. Hanno orecchi ma non ascoltano.

A un uomo cieco e povero, mendicante ai margini della strada, destinato a vivere nell’“oscura valle di lacrime”, è concessa una vista incredibile che solo la fede può riattivare. Non ha più occhi per vedere, allora fa leva potenziandole su bocca, lingua e gola e emette il suo grido salmico. I suoi occhi sono spenti e assenti, ma non la sua intelligenza, la sua inventiva, il suo coraggio nell’osare il coinvolgimento di tutti gli altri organi, cuore compreso. È l’ora del suo “big bang esistenziale”, è la nuova nascita che lo attende. Nulla possono i rimproveri della gente che gli è accanto. Occorre uscire fuori dal coro, esporsi agli improperi dei benpensanti, pur di sintonizzarsi con il profondo di noi stessi, il luogo della ferita che sanguina, che tanto spesso non vogliamo più vedere per l’angoscia che essa genera in noi. Occorre lasciarsi andare nel grido di pietà, nell’invocazione ardente di briciole di misericordia.

Il cieco intuisce che Gesù, il figlio di David, può ascoltarlo. Non c’è niente di più trainante che sapere che qualcuno o qualcuna ci attende e ascolta il nostro grido. Dà ossigeno al fuoco che cova sotto la nostra cenere. Il cieco riconosce ciò che è, la sua infermità, il suo essere bisognoso di aiuto. Esce dal copione di una vita da mendicante petulante per emettere un grido che nessuno spartito musicale potrà mai contenere. Il cieco coglie l’attimo, il passaggio fugace di Gesù a Gerico, entra nella rivoluzione del presente, la sola rivoluzione possibile.

Il cieco assaporerà la gioia della rinascita perché ha avuto il coraggio di andare in fondo alla sua disperazione, vedrà di nuovo i colori dell’autunno perché ha saputo prendere in mano il nero pece del suo baratro interiore, sperimenterà una vita da risorto perché non si è lasciato sopraffare dal buco nero degli inferi di se stesso.

Gesù, come al solito, non si attribuisce i miracoli. Non è questione di umiltà. Gesù è impotente di fronte all’ottusità e alla freddezza dei nostri cuori. Il miracolo non sta tanto nella guarigione da parte di Gesù. Si situa nella fede dell’uomo spoglio che accoglie la sua cecità, grida aiuto, scaturisce nell’atto puntuale della consegna di sé. La fede è tutta qui. Il miracolo è nell’attivazione della speranza. L’impresa terapeutica è già nel grido di dolore. Per l’uomo rinato è l’ora della sequela, per tutti il momento della lode.

fratel Giandomenico