La ricchezza, quella vera
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9 novembre 2024
Lc 16,9-18
In quel tempo Gesù diceva ai discepoli:9 «fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Non potete servire Dio e la ricchezza
10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
14I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. 15Egli disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole.
Legge di Mosè e regno di Dio
16La Legge e i Profeti fino a Giovanni: da allora in poi viene annunciato il regno di Dio e ognuno si sforza di entrarvi.
17È più facile che passino il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge.
18Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio.
“Fatevi amici con la ricchezza disonesta, perché quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne” (v. 9). Queste parole di Gesù a commento della parabola dell’amministratore astuto ci spiazzano. Suscitano molte domande: come tenere insieme la disponibilità di una ricchezza con l’insegnamento di Gesù che mette in guardia dai pericoli di possedere molti beni, perché di ostacolo per entrare nel regno di Dio? La ricerca di una sicurezza futura può giustificare un comportamento iniquo per conseguirla? E ancora, in cosa consiste la ricchezza “vera” cui allude il Signore?
Non è facile individuare il filo rosso che unisce i vari detti di Gesù che la pericope odierna ci presenta, ma possiamo provare a sbrogliare la matassa se teniamo presente la dimensione del dono e della gratuità nella quale, tra le righe, siamo invitati a entrare.
Gesù afferma che chi è fedele nel poco, “in una cosa minima”, potrà esserlo in cose importanti. Come quel servo lodato dal suo signore perché si è comportato come un amministratore fidato dei beni che gli sono stati assegnati: “Bene, servo buono, poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi potere su dieci città” (Lc 19,17). La fedeltà è qui declinata come capacità di attesa, di lealtà e responsabilità rispetto al dono ricevuto: “Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come amministratori della multiforme grazia di Dio” (1Pt 4,10). Grazia è l’amore di Dio riversato nei nostri cuori, un amore incondizionato, personale.
Gesù qualifica la ricchezza come disonesta, perché spesso ingiusta nella sua origine e nell’uso che se ne fa, e mette in guardia i discepoli perché i tanti beni possono asservire chi li possiede, nella misura in cui vi rivolgiamo le nostre preoccupazioni lasciando che diventino padroni del campo del nostro cuore. Nel nostro cuore, infatti, attraverso una lotta che richiede fatica (“ognuno si sforza di entrarvi”, v. 16), decidiamo se fare regnare l’attaccamento ai beni materiali e a posizioni acquisite, oppure la logica del Regno, che è apertura e fiducia verso l’altro, verso la vita, e comporta l’uscita dai nostri mondi ristretti.
“La pianta non è per mille modi aperta alla luce, ai venti, alla terra? E se non fosse così, non perirebbe? Apertura è vita, è maggiore vita, è migliore vita. Apertura alla bellezza, alla bontà, alla giustizia, all’onestà, a quella logica di bene che ci parla e ci ispira” (A. Capitini).
Non dobbiamo assolutizzare né demonizzare la ricchezza. Siamo chiamati a servire Dio e a servirci di ciò che possediamo, come mezzo per entrare in comunione con i nostri fratelli. Donando, spezziamo la forza che ha mammona di sottometterci alla sua signoria.
Allora scopriremo la ricchezza, quella vera, che nessuno può rapirci e che ci introduce alle dimore eterne: è il dono che facciamo di noi all’altro per riannodare i rapporti e far crescere la fraternità; scaturisce dal non fare riserve di se stessie dalla condivisionedi quello che si è, del poco che si ha: cinque pani e due pesci non sono bastati a sfamare tanta gente?
Si tratta di assumere i tratti del buon Pastore, che ha spezzato e offerto la sua vita per i fratelli: “Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo” (Lc 6,38).
fratel Salvatore