Indurire il volto, non il cuore


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1 ottobre 2024

Dal Vangelo secondo Luca - Lc 9,51-56 (Lezionario di Bose)

In quel tempo 51mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme 52e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l'ingresso. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55Si voltò e li rimproverò. 56E si misero in cammino verso un altro villaggio.


Il brano proposto oggi ha un tono solenne. Con questi versetti Luca apre la lunga “sezione del cammino” che concluderà solo dieci capitoli dopo, con l’arrivo alla destinazione annunciata da subito: Gerusalemme, la città che uccide i profeti e lapida quanti sono inviati a lei (cf. Lc 13,34). Rispetto agli altri evangelisti, Luca sottolinea discretamente come Gesù abbia compreso molto presto quale fosse il suo destino, senza fuggirlo ma andandovi incontro.

Il quadro è tutt’altro che roseo. Se il nostro testo parla di “essere elevato in alto”, poco prima lo stesso Gesù è stato più esplicito: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini” (Lc 9,43). Per la maggior parte di noi, si tratta di una prospettiva lontana dalle nostre vite. Tuttavia, chi non ha fatto o non fa l’esperienza di dover affrontare almeno un po’ della durezza che il vivere può riservare? Il modo in cui Gesù affronta questa situazione e quelli in cui i suoi discepoli non la affrontano rende questo vangelo una parola detta a ciascuno di noi.

La traduzione CEI ci suggerisce di concentrarci dapprima sui discepoli, che tanto spesso sono i nostri alter ego. Qui vediamo Giacomo e Giovanni, i due fratelli terribili, farsi bandiera dell’intransigenza: chi sbarra il nostro cammino merita di essere spazzato via! Si ripete spesso che quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare: dunque siamo duri, più forti di tutti gli altri, spietati se necessario! Ma questo atteggiamento bellicoso stride con la reazione dei discepoli all’annuncio di Gesù: l’incapacità di comprendere le sue parole, a cui si aggiungeva la paura di manifestargli questa loro mancanza. L’altra faccia dell’aggressività è spesso il rifiuto di affrontare la realtà, il chiudersi in un miscuglio letale di vergogna, confusione, paura.

Non così Gesù. Se stiamo al testo greco, possiamo notare che egli “indurì il suo volto”: posto di fronte a un destino di morte, non poteva affrontarlo come qualcosa di ordinario. “Indurire il volto” è necessario per vincere la resistenza interiore (provata dallo stesso Gesù nel Getsemani: cf. Lc 22,39-44): gli impulsi che proviamo sono parte di noi. Il rischio che corriamo, però, è che insieme al volto induriamo il nostro cuore, fino a trasformarci in automi. E così la minima opposizione diventa causa di indignazione e furore…

No, risponde Gesù in modo netto: se nel caso della paura che ci blocca sceglie la strada della pazienza mite (cf. Lc 9,46-50), il delirio di onnipotenza è così grave da richiedere una correzione brusca e sferzante. Gesù si volta: il suo cammino verso Gerusalemme è inutile se pensiamo che miri soltanto a diventare capaci di far piovere fuoco sui nostri avversari.

Merita di essere ricordata, pertanto, una variante testuale che non compare nel testo proclamato oggi. Oltre a voltarsi dal suo cammino – già questo suggerisce la gravità della proposta dei due fratelli – Gesù dice loro: “Voinon sapete di che spirito siete! Il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto a perdere vite ma a salvarle”. 

Possiamo dunque chiederci: ci sono anche per noi dei momenti in cui non sappiamo di che spirito siamo? Sono quelli in cui dobbiamo ripeterci che il nostro Signore è venuto non per condannare e fare perire, ma per salvare e dare la vita.

fratel Federico