“Risuscita!”
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17 settembre 2024
Lc 7,11-17
In quel tempo 11Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. 12Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. 13Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». 14Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». 15Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. 16Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». 17Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
Precedentemente Gesù si era meravigliato della fede di un centurione pagano (cf. Lc 7, 9). Fede umile e grande, perché credeva fortemente che la Parola di Gesù avrebbe fatto quello che diceva. Infatti, l’uomo dell’esercito romano disse a Gesù, chiamandolo Signore: “Non disturbarti! Ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito” (v. 6 e 7).
Quest’uomo aveva colto la peculiarità della Parola di Dio, e cioè che, quando Dio parla, è un fatto compiuto. Proprio come leggiamo nel Salmo 33: “Il Signore parla ed ecco, avviene; egli comanda ed ecco, si compie”. La Parola di Dio è e crea evento – evento di vita.
Con Gesù, con la sua predicazione, si compie la Scrittura, e il regno di Dio si avvicina. Le promesse di Dio si attuano: ai ciechi è donato la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi odono, i morti sono risuscitati, ai poveri è annunciato la buona notizia (cf. Lc 7,22). Gesù esorta a guardare a questi segni, che narrano la realizzazione della Parola di Dio e allo stesso tempo invitano a cooperare in sinergia con essa.
La fede nasce dall'ascolto della Parola, cresce quando la accogliamo e ci apriamo al mistero del dono di Dio, che, poi, permea (dovrebbe permeare) il nostro parlare e il nostro agire. Gesù stesso ci dona l’esempio. Occorre contemplarlo per imparare da lui.
Il brano evangelico odierno ci invita a questa contemplazione. Il racconto presenta una donna, vedova, che porta a seppellire il suo unico figlio (v. 12). Una situazione umana tragica e allo stesso tempo “ordinaria”. E Gesù si trova, possiamo dire, per caso, sulla sua strada. Vedendo la donna, egli è preso da viscerale compassione per lei e le rivolge una parola: “Non piangere!” (v. 13). Il suo sentimento di patire con la donna lo spinge ad avvicinarsi a lei. Non fugge via dal suo dolore. In più, Gesù si espone anche allo sgomento della folla davanti alla morte.
La compassione – il soffrire-con l’altro/a con conoscenza di causa, il condividere con lui/lei una comune miseria (quella della condizione umana, di cui è cifra la morte) – è una via di conoscenza, di ri-conoscenza, dell’altro e di sé stesso. Non intellettuale, ma piena, vera, perché pronta a lasciarsi sempre ancora sorprendere e inquietare, ed è aperta ad accogliere il sorgere di un novum.
Mossa dalla compassione, la parola di Gesù alla donna non è una parola vuota, vana. La fa seguire da un gesto: “si avvicinò e toccò la barra” (v. 14). Poi, rivolto al morto pronuncia un’altra parola che ha la potenza dell’evento: “Ragazzo, dico a te, alzati”, che significa, ‘Ragazzo, risuscita’. E “Il morto si mise seduto e cominciò a parlare” (v. 15).
“Risuscita!” La parola della resurrezione è la parola centrale della buona notizia del vangelo! È il dono di Dio per eccellenza. Nel IV vangelo Gesù dice: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in modo compiuto” (Gv 10,10).
Abbiamo capito il dono di Dio, il mistero abissale della nostra fede? Che cos’è la vita cristiana, se non cerchiamo di coltivare in noi la compassione, di far seguire al sentimento la parola della fede, e alla parola l’azione, con il sapore e la forza generativa della vita?
sorella Alice