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Da parole per pensare a parole da mangiare


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speziedi Rubem Alves

Vi invito dunque, a costo di trasgredire le regole del galateo, a passare dall’aula di scuola alla cucina, dalle parole per pensare alle parole da mangiare...
La cucina è un luogo di trasformazione, nulla deve restare uguale. Il fuoco e i suoi alleati sono all’opera... Le cose vi arrivano crude, come la natura le ha prodotte, e ne escono diverse, secondo le esigenze del piacere. Ciò che è duro deve essere intenerito; gli odori e i sapori che vi sono imprigionati devono rivelarsi: cucinare è come dare il bacio magico che ridesta il piacere addormentato. Alchimia, metamorfosi, la cucina riunisce ciò che la natura aveva separato. Lo spazio è abolito. Sale, aglio, pepe, zucchero, timo, chiodi di garofano, prezzemolo, cipolla, cannella, paprika, cumino, sedano, salvia, estragone, rafano, curry sono tutti invitati, dai paesi lontani nei quali sono cresciuti, a unirsi al festival della cucina. Il dolce, l’acido, l’amaro e il salato vengono in combinazioni mai esistite. Tutto è creatura nuova, tutto è rimesso a nuovo.
Il lievito, questo silenzioso alleato del fuoco, svolge il suo lavoro senza rumore. Bevande di ogni genere, ignote in natura, come il vino, la birra, il brandy, il whisky, la vodka, il saké, ciascuna a suo modo, trattiene lo “spirito” tra le pareti di una bottiglia. Nuovi sapori, nuovi odori, nuove forme e colori: la cucina è anche un’arte plastica. Ciò che è buono da mangiare dev’essere anche bello a vedersi. Gli occhi vi trovano un nuovo godimento. Legati alla bocca e al naso, ricevono il potere di gustare. I rossi, i verdi, i gialli, i marroni e i bianchi formano un caleidoscopio. L’acqua, il latte e l’olio celebrano un’alleanza con il fuoco. Perfino gli elementi che sembrano presentarsi crudi non vengono serviti come la natura li ha prodotti. Pomodori, lattughe, rapanelli, crescione, cavolo sono tutti trasformati dal gusto e dal profumo del condimento. E casseruole, pentole, coltelli, forchette e cucchiai, forni e fornelli sono gli intermediari di questa festa il cui scopo è il piacere del corpo. La cucina conosce la teologia agostiniana: lì l’uti (l’“uso”) non dimentica mai che esiste solo al servizio del frui (il “godimento”). Lo scopo del lavoro è la gioia. I sei giorni della creazione trovano il loro compimento quando Dio offre il paradiso come un dono per la soddisfazione propria e dell’uomo.

 

tratto da Parole da mangiare, Edizioni Qiqajon