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Mangiare nella Bibbia (1)


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Annibale Carracci, il mangiatore di fagioliGli uomini della Bibbia avevano poche varietà di cibo, la loro mensa non era certo allietata dai prodotti che saranno poi importati dal nuovo mondo; anche un po' di miele selvatico era per loro una delizia: a Gionata brillano gli occhi quando assaggia (1Sam 14,27-29) del miele con la punta di un bastone.
Nel mangiare biblico vanno notati due elementi indistinguibili nel senso che ognuno sconfina nell'altro: sono il godere e il celebrare, e l'uno non esiste senza l'altro.
Fra i tanti passi che si possono citare sceglierò quello classico di Neh 8,10-12. Esso offre la prima testimonianza della lettura pubblica della Torah, nel primo giorno del mese di tishri, alla porta delle Acque, in Gerusalemme. È, questa, la prima attestazione di un rito sinagogale. La gente, che non aveva mai sentito leggere la scrittura, piange, perché percepisce la propria assoluta inferiorità e inadempienza rispetto alle prescrizioni divine.
Poi Neemia disse loro: Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato, perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate pel'ché la gioia del Signore è la vostra forza. I lieviti calmavano tutto il popolo dicendo: tacete, perché questo giorno è santo, non vi rattristate. Tutto il popolo andò a mangiare, a bere, a mandare porzioni ai poveri e a far festa perché avevano compreso le parole che erano state loro proclamate.
È quindi considerato quasi irriguardoso verso Dio non fare festa mangiando e bevendo in concomitanza con l'ascolto della sua Parola. Commentando questo passo di Neemia, rabbi Eliezer diceva: "nelle feste si deve mangiare e bere, o sedere o studiare. Rabbi Joshua diceva: Dividi il tuo tempo, metà per Dio e metà per te stesso. E, dopo aver riportato Neh 8,10, continuava: Cosa significano queste parole? Rabbi Johanan disse: Dio ha detto ai figli di Israele: "Figli miei, consumate a mio credito, a mio conto e santificate la santificazione del giorno e fidatevi di me: lo pagherò"
Il Talmud palestinese, attribuisce a Rab queste parole: "Un uomo nel giorno del giudizio dovrà rendere conto di ogni buona cosa che i suoi occhi hanno visto e che egli non ha mangiato".
Questa è certamente un'affermazione paradossale, come molti detti rabbinici, ma sottintende una antropologia molto profonda: Dio ha dato all'uomo l'uso del mondo, e se l'uomo non se ne avvale è come colui che, invitato a pranzo, non mangia. Il nostro rapporto con il cibo, e in generale con tutti i beni del mondo, deve essere pieno e senza riserve, ma mediato dalla berakhah, ossia dalla benedizione. Chi pronuncia la benedizione si rende conto e testimonia la provenienza dei beni di cui si gode. Questo vale soprattutto il sabato a proposito del quale Hijjah b.Abba disse: "Santifica il sabato con cibo, abiti puliti e Dio ti ricompenserà".

Paolo De Benedetti, docente di Giudaismo alla Facoltà teologica dell’ Italia settentrionale di Milano e all’Istituto di Scienze religiose dell’Università di Urbino
tratto da: I due elementi del mangiare, in Il cibo e la cucina, atti del covegno nazionale di studi, Accademia italiana della cucina.