Come viandanti in cerca di Dio

XXV Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa
IL DONO DELL'OSPITALITÁ
Monastero di Bose, 6-9 settembre 2017
in collaborazione con le Chiese ortodosse

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7 settembre 2017
Articolo pubblicato su Avvenire

tratto dall'intervento di Vera Shevzov: Lo strannik e lo straniero nella tradizione ortodossa russa

Nella vecchia Russia e nei vocabolari precedenti alla rivoluzione, gli stranniki erano definiti in vari modi, come viaggiatori, vagabondi senza fissa dimora, poveri nomadi ambulanti, mendicanti, viandanti, forestieri, stranieri emarginati. Il termine “gentile” del nuovo Testamento, per esempio, era talvolta tradotto con strannik. Etimologicamente il termine strannik era legato anche al termine vetero-russo che significava “straniero”, “altro”, oppure “che sta ai margini”. Ancor più il verbo stranstvovat’ può riferirsi non soltanto all’atto di vagabondare. Come osservò il ben noto lessicologo del XIX secolo, Vladimir Dal’, nel suo Dizionario della lingua russa viva, il termine potrebbe anche significare “soffrire” oppure “star male”.

Al di là del puro e semplice numero di stranniki, la loro cospicua presenza pubblica (specialmente nei dintorni delle chiese e dei monasteri), la leggenda che la loro immagine spesso ispirò — per esempio che l’imperatore Alessandro i intraprese questo modo di vita sotto le vesti del difficilmente reperibile anziano Feodor Kuzmich di Tomsk — e la cultura dell’ospitalità con la quale venivano associati come gruppo, sorprendentemente furono oggetto di scarsa attenzione sistematica da parte dei pensatori ortodossi formati nelle accademie russe del XIX secolo. Se consideriamo gli scritti specificamente ortodossi, essi figuravano per lo più in opuscoli devozionali o edificanti e in brevi testi biografici che presentavano lo strannik e la strannopriimnik (colui che accoglie o ospita lo strannik) a essi collegata come modelli di condotta spirituale.

Percependo una mancanza di attenzione nel pensiero russo ortodosso riguardo al significato e alla proposta di un autentico pellegrinare cristiano, nel 1872 lo ieromonaco Marco compose un manuale su questo tema. In contrasto con alcuni dei suoi contemporanei che spesso distinguevano lo strannik dal pellegrino, il lavoro dello ieromonaco Marco parlò ad ambedue i generi di spirituali ortodossi: «a quelli che viaggiano a piedi con un bastone in mano e un sacco sulle spalle, come pure a quelli che viaggiano in treno o in carrozza per recarsi a pregare nei luoghi santi». Per lui il viandante e il pellegrino si univano nell’atto volontario e nella scelta consapevole di mettersi “in strada”. L’identità di viandante, affermava lo ieromonaco Marco, significava un riconoscimento del desiderio umano universalmente condiviso di cercare di avanzare verso l’Uno a immagine del quale siamo stati creati. Essere un autentico viandante implica, dunque, l’umano impulso a cercare di superare la peccaminosità dell’umana natura avventurandosi su un cammino di attivo amore per Dio.

Sebbene dichiari che l’essenza dello strannichestvo sta nell’atto di lasciare la propria “casa” e la sicurezza di quei ristretti legami familiari che la “casa” implica, Marco concorda nondimeno con quelli che, al pari dell’archimandrita Feodor Bukharev, sostengono che in quanto modo di vivere cristiano, lo strannichestvo non esige necessariamente un viaggio fisico e, cosa ancor più importante, implica una particolare disposizione della mente e del cuore. Per il fatto che esso era ispirato da una radicale speranza in Dio e dall’amore per lui, lo strannik sedentario incontra in molti modi le stesse esperienze interiori di colui o colei che si mettono in cammino come pellegrini. In effetti, secondo lo ieromonaco, in un certo senso le lotte interiori erano ancor più difficili per quelli che rimanevano “a casa” loro con questa mentalità. Tali persone si trovavano presto sole, estranee in mezzo ad amici apparenti, solitamente senza «un compagno di viaggio spirituale».

Così, anche senza le privazioni e gli imprevisti di un viaggiare fisico, Marco sosteneva che l’autentica struttura mentale del viandante e la disposizione del cuore era un podvig (sforzo spirituale) contrassegnato da difficoltà fisiche ed emotive che soltanto pochi potevano sopportare a lungo. Peregrinare, afferma, «è il sicuro punto di partenza di un cammino spirituale» che si realizza inevitabilmente in una persona che prende le distanze da precedenti attaccamenti e legami, il passato significa ciò che ormai non conta più. Attraverso privazioni fisiche e spirituali, disagi frequenti e spesso estremi, sofferenze e pericoli a cui conduce il suo cammino, lo strannik intraprende una lotta anzitutto e soprattutto con se stesso, senza aver nessuno in cui trovare aiuto e conforto all’infuori di Dio. Tale cammino sembra scoraggiante, pauroso e proibitivo, afferma lo ieromonaco Marco, soltanto per quelli che non sanno come mutare direzione e i cui cuori restano angusti, chiusi, incapaci di rispondere alla bontà e alla misericordia. Vagabondare diventa allora una forma di educazione alla virtù.