La via della bellezza cerca strade nuove per aprirsi all’Eterno
LA VIA DELLA BELLEZZA CERCA STRADE NUOVE PER APRIRSI ALL'ETERNO
Avvenire
4 giugno 2011
di GIACOMO GAMBASSI
Torna più volte nel monastero di Bose una frase che racchiude una necessaria consapevolezza e, al tempo spesso, richiama all’impegno dell’incontro: «Oggi l’arte sacra attraversa una crisi». Lo aveva già lasciato intendere Paolo VI nel suo discorso agli artisti del 1964; e lo sottolinea Joseph Ratzinger nel libro Introduzione allo spirito della liturgia in cui parla di un «mondo delle immagini» che «non oltrepassa più l’apparenza sensibile » e di un «accecamento dello spirito ». Siamo davanti a un fossato che non permette contatti fra il tattile dell’arte e il trascendente? Tutt’altro. Anzi, la sfida è proprio quella di una «più urgente ricerca di fonti di rinnovamento » attraverso il «recupero di una fede capace di vedere» che «permetterà anche all’arte di trovare la sua giusta espressione», spiega padre Uwe Michael Lang, coordinatore del master in architettura, arti sacre e liturgia all’Università Europea di Roma e officiale della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Il suo intervento è stato uno degli snodi della prima giornata di lavori del nono Convegno liturgico internazionale promosso dalle comunità monastica di Bose insieme con l’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici. Tema del simposio che si è aperto giovedì 2 giugno: Ars liturgica, l’arte a servizio della liturgia.
«Nello spazio cristiano – afferma il priore di Bose, Enzo Bianchi, nella prolusione – è innanzitutto l’azione liturgica che deve essere un’opera d’arte. La prima bellezza epifanica deve essere trovata nella celebrazione in cui sono convocate le opere d’arte che non costituiscono lo scenario per la liturgia ma partecipano alla liturgia e, oserei dire, anch’esse concelebrano». A una condizione, però: l’arte diventa liturgica se è in grado «di fare segno, di evocare, di narrare il mistero che si celebra» ma anche di «essere letta, percepita, accolta da parte dell’assemblea», precisa Bianchi. Ecco perché va favorita «la comprensione sempre più attenta dell’arte come manifestazione dell’esperienza spirituale e della liturgia come mirabile espressione della fede del popolo santo di Dio», si legge nel telegramma col saluto di Benedetto XVI che porta la firma del segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone.
Dalla musica all’architettura, dalla pittura all’oreficeria, l’arte sacra cristiana «si fonda sull’incarnazione del Verbo», ricorda Lang. E «nella persona di Cristo non è più appropriato parlare di un confine tra cielo e terra», ribadisce Yves-Marie Blanchard, docente di teologia all’Institut catholique di Parigi, nella relazione sul «Sacro nel Nuovo Testamento ». Così l’arte può aiutare a rendere comprensibili i tesori del mondo inaccessibile con quella pluralità di stili che si presentano nella storia. In quest’ottica il rapporto fra arte e celebrazione «va ripensato di epoca in epoca» in modo che «la gioia dell’incontro con Cristo nella liturgia» si manifesti «nell’architettura sacra e in tutte le altre espressioni artistiche », scrive il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, nel messaggio letto in apertura del Convegno.
Lo dimostrano anche le esperienze presentate a Bose. Una è quella del nuovo Evangeliario ambrosiano, esempio del «dialogo tra Chiesa e arte contemporanea», un’arte che può «tradurre visivamente il messaggio evangelico in modo aggiornato», chiariscono Pierluigi Cerri, Francesco Tedeschi e Norberto Valli. Altro caso è rappresentato dalle Porte degli angeli realizzate dallo scultore polacco «girovago» Igor Mitoraj per la Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma che Marco Di Capua ha illustrato. E l’arte nel culto cristiano ha anche una valenza ecumenica. Come ben si comprende dal messaggio del patriarca ecumenico Bartolomeo I inviato per il Convegno in cui spiega che «la liturgia è il luogo in cui l’arte e la liturgia si uniscono per esprimere la comunione tra Dio e il mondo». E come emerge della relazione del gesuita Robert Taft, docente emerito di liturgia al Pontificio Istituto Orientale, quando ricorda che nell’Oriente ortodosso «il divino è raffigurabile nell’icona e nel rito». Icona che comunica il sovrannaturale con i suoi elementi simbolicoastratti. Proprio come le opere di beato Angelico.