Questione di sguardi

Foto di Jude Infantini su Unsplash
Foto di Jude Infantini su Unsplash

6 dicembre 2025

Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 23, 1-12 (Lezionario di Bose)

In quel tempo, 1Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati «rabbì» dalla gente.
8Ma voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare «guide», perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».


Questo vangelo potrebbe essere comodamente confinato in una cornice storica, al massimo aggiornata per sostituire a scribi e farisei altre figure religiose di cui denunciare l’inconsistenza e l’ipocrisia: sarebbe una soluzione consolante, che nel farci puntare il dito contro il nostro bersaglio, volgerebbe altre dita della nostra mano contro di noi.

L’insegnamento di Gesù è invece molto più profondo. Un primo invito è quello di separare le parole che udiamo o leggiamo da chi le ha pronunciate: operazione non sempre facile, perché spesso abbiamo nei confronti della persona in questione un investimento affettivo pesante. Si tratta però di un’azione vitale se desideriamovivere in maniera responsabile, senza limitarci a reagire sulla base di ricordi, associazioni mentali, emozioni. 

Ci sono poi altri modi di impoverire la nostra vita, da cui Gesù ci mette in guardia: delegare ad altri ciò che noi non vogliamo o non sappiamo fare e, soprattutto, ridurre ogni nostra gesto a una scena teatrale, in cui l’unica cosa che conta è strappare un applauso al nostro pubblico. Difficilmente in chi legge questa pagina ci sarà il desiderio di allargare i propri filatteri; forse però i primi posti, i saluti in pubblico, gli inviti agli eventi più prestigiosi possono fare gola a qualcuno.

Avremmo già un insegnamento, che però rischierebbe di assomigliare a un elenco di atteggiamenti giusti e sbagliati: il vangelo non può mai ridursi a un manuale di istruzioni e Gesù, senza moltiplicare le parole, apre subito una prospettiva preziosa a partire proprio da chi desidera essere guardato con favore e chiamato “rabbì”. 

Vivere in maniera responsabile, senza dipendere dal riconoscimento altrui o dalla tirannia delle proprie emozioni, comporta in effetti un altro sguardo: quello di chi sa riconoscere in Dio il proprio Padre, negli uomini e nelle donne i propri fratelli e sorelle. Se questa è la nostra prospettiva, perché affannarci a occupare il posto migliore possibile, e pazienza per chi dobbiamo schiacciare? Perché attaccarci a un’immagine da difendere con unghie e denti, anziché presentarci con fiducia per ciò che siamo, creature amate dal Padre?

Forse perché il Dio in cui diciamo di credere più che un Padre sembra lo spettatore dalla cui approvazione dipenderà la nostra capacità di calcare ancora il palcoscenico; e siccome, come non si stanca di ripetere Gesù, egli è “nei cieli”, noi quaggiù sulla terra eleggiamo altre persone a spettatori. Con un risultato scontato: la nostra vita si trasforma in una rappresentazione continua, in cui diventa impossibile capire cosa sia autentico e cosa abbia la consistenza della polvere che si posa su mobili e ninnoli e, al primo refolo di vento, vola via. Pericolo contro cui Gesù aveva già messo in guardia i discepoli (cf. Mt 6,1-18).

Che questo Avvento, tempo liturgico in cui più intensamente invochiamo il ritorno del Veniente, ci aiuti a credere nella paternità amorevole di Dio, perché possiamo prepararci a incontrarlo nella fiducia e non nella paura.

fratel Federico